Recensione: Phosphorus

Di Roberto Castellucci - 21 Novembre 2022 - 8:30
Phosphorus
Band: Mefisto
Etichetta: GMR Music Group
Genere: Death  Heavy 
Anno: 2022
Nazione:
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75

Di tanto in tanto mi manca quel diabolico aroma di zolfo di cui sembrava fossero impregnati certi dischi di una trentina di anni fa. Ho avuto la fortuna di assistere in prima persona alla nascita della cosiddetta Seconda Ondata del Black Metal, quando Darkthrone, Enslaved, Immortal, Mayhem et similia squassavano contemporaneamente il mondo della musica estrema e le orecchie di genitori e vicini di casa. Il fatto che si facesse riferimento ad una ‘seconda’ ondata ben presto mi obbligò a rintracciare gli esponenti della ‘prima’; scoprii quindi che i minacciosi gruppi summenzionati non erano stati i primi a ‘sbattere il Diavolo in prima pagina’. Con grande gioia mi dedicai pertanto al ripescaggio dei vecchi capolavori di Venom, Bathory, Celtic Frost, Sodom e compagnia bella, felice di essermi imbattuto in una corrente musicale che sembrava fatta apposta per far uscire dalle casse dello stereo il mio adolescenziale desiderio di ribellione. Ovviamente, vivendo in provincia, dovevo fare i conti con una certa difficoltà di reperimento dei dischi; mi sentivo già più che fortunato quando riuscivo a mettere le mani sulle opere dei ‘grandi nomi’ citati poc’anzi. Non stupisce pertanto che io abbia sempre ignorato l’esistenza dei Mefisto, gruppo svedese nato a Stoccolma nel 1984…e temporaneamente scomparso tre anni dopo. In questi primissimi periodi di attività la band pubblica due interessanti demo: “Megalomania” e “The Puzzle”, prodotti di indubbia qualità in grado di offrire agli ascoltatori un buon blend di Speed Metal, Thrash e NWOBHM. I Mefisto, in questa fase iniziale, sono un terzetto composto dal bassista/cantante Sandro Cajander, dal chitarrista Omar Ahmed e dal batterista Robert Granath, unico membro fondatore tuttora saldamente alle redini della band. Il trio, con questi due demo, ha offerto un impulso non di poco conto alla futura scena Death Metal svedese, pur rimanendo sulla falsariga della musica diffusa dai gruppi di cui sopra e soprattutto impreziosendo il tutto con un’abbondante dose di sympathy for the Devil, tanto per voler citare i Rolling Stones. I due nastri sono probabilmente introvabili e possono essere ascoltati online grazie alle riedizioni pubblicate nei decenni successivi. Io, per esempio, ho avuto modo di ascoltarli riuniti in un’unica pubblicazione discografica del 2014, “The Megalomania Puzzle”, compilation che ha avuto il merito di reintrodurre i Mefisto nel mercato discografico recente. Risale infatti al 2016 il ritorno sulle scene della band, che dopo aver affidato la voce a Omar Ahmed e il basso alla new entry Morgan Myrhberg pubblica il deludente “2.0.1.6.: This Is The End Of It All…The Beginning Of Everything”. Le cose iniziano a cambiare nel 2017, anno in cui il gruppo, ridotto a due soli componenti dopo la fuoriuscita di Omar Ahmed, pubblica il buon “Mefisto”, album che riprende nel titolo il semplice nome della band e che con questa scelta sembra voler sottolineare la necessità di una ripartenza. Il disco innesta intriganti influenze Heavy su di una solida base Death Metal, senza dimenticare una buona dose di elementi spesso riconducibili al cosiddetto Groove Metal di fine anni ‘90/inizio 2000: questa miscela di caratteristiche provenienti da diversi generi musicali, già evidenziabile all’epoca dei primi 2 demo, è una particolarità comune a tutti i dischi dei Mefisto. Piccola precisazione riguardante quest’album omonimo: Robert ‘Robban’ Granath, oltre allo sgabello dietro alle pelli, occupa la postazione di cantante della band a partire da questo disco; in qualche brano, inoltre, viene affiancato al microfono dal compianto LG Petrov, leggendaria voce degli svedesi Entombed. Oltre a confermare l’importanza del monicker Mefisto nel panorama Death svedese, la comparsata di LG Petrov nel disco del 2017 rappresenta solo la prima delle molte ‘collaborazioni eccellenti’ di cui i Nostri possono fregiarsi. Nel 2019, infatti, il duo composto da Robban Granath e da Morgan Myrhberg dà alla luce il full-lengthOctagram”, inglobando stavolta l’ascia di Chaq Mol, attivo dal 2003 presso la ‘sezione chitarre’ dei conterranei Dark Funeral. “Octagram” riprende il discorso interrotto dal lavoro precedente, ribadendo la bontà della formula messa a punto dai Mefisto in questo nuovo corso: la musica e il growl di Robban sembrano incupirsi, ma la volontà di contaminare il Death Metal con sonorità Heavy e Groove si conferma ancora una volta tra gli obiettivi principali del gruppo.

Il medesimo obiettivo è stato perseguito, pienamente raggiunto e persino superato con l’ultimo “Phosphorus”, che addirittura amplia la rosa delle influenze musicali selezionate dai Mefisto: la nuova formazione, oltretutto, sembra davvero essere una sorta di supergruppo in cui confluiscono nomi piuttosto altisonanti. Oltre alle colonne portanti Robert ‘Robban’ Granath e Morgan Myrhberg si presenta nuovamente all’appello di “Phosphorus” il già citato Chaq Mol, che per l’occasione viene accompagnato dal bassista A. Impaler (al secolo Alexander Friberg, ex Naglfar, ex Firespawn) e dal batterista Chris Barkensiö (ex Carnal Forge e tuttora attivo tra le fila dei Witchery). Merita una menzione a parte la figura di Carl Westholm, tastierista dei Candlemass tra il 1998 e il 2002, a cui spetta la paternità degli spettrali elementi organistici di “Phosphorus”. Elementi organistici? Proprio così! In quest’ultimo album i Mefisto ingioiellano ulteriormente il loro Death Metal: oltre al recupero delle radici Thrash dei primi demo e alle numerose deviazioni verso lidi indiscutibilmente Heavy, i Nostri inseriscono suoni totalmente inaspettati. Il disco è permeato infatti da atmosfere che sembrano arrivare direttamente dagli anni ’70: le canzoni sono spesso arricchite da tappeti sonori prodotti da un organo Hammond e, come se non bastasse, ci si imbatte spesso in lugubri effetti creati dal theremin, strumento elettronico che viene suonato senza la necessità del contatto fisico con il musicista. Non tutti conoscono questo strumento e la Rete può sicuramente fornire un valido aiuto per capire di cosa si tratti; per sapere in fretta di cosa sia capace questo oggetto, però, è sufficiente rintracciare le colonne sonore di notissimi film di Fantascienza come Ultimatum alla Terra, diretto da Robert Wise nel 1951, o Mars Attacks, capolavoro di Tim Burton del 1996. Detto in soldoni, il theremin è lo strumento responsabile del suono che normalmente associamo ad un disco volante giunto sulla Terra per annientare il genere umano. Il theremin, inoltre, è stato spesso usato anche nel cinema Horror, oltre che nella celeberrima “Thriller” di Michael Jackson…sfido chiunque a non ricordare la ‘danza degli zombi’ nel videoclip di questa storica canzone! Le caratteristiche vibrazioni emesse da questo aggeggio ci catapultano immediatamente in un mondo fantastico e allo stesso tempo minaccioso: ecco servito il motivo per cui, in un disco come “Phosphorus”, la scelta di introdurre il theremin non può che rivelarsi vincente. L’ultimo lavoro dei Mefisto, infatti, potrebbe benissimo accompagnare un immaginario documentario dedicato alla musica del Diavolo prodotta negli ultimi 50 anni. I dieci brani che compongono la tracklist contengono davvero di tutto: urla diaboliche, sfuriate Thrash Metal, rocciose e imponenti strofe di matrice tipicamente Heavy, maligni cori femminili e talora quasi infantili degni del miglior Alice Cooper, melodie ‘settantiane’ sorrette dall’organo Hammond. Non deve sorprenderci, quindi, il fatto che recentemente i Mefisto abbiano condiviso il palco nella loro Svezia con gli statunitensi Coven, memorabile band di Occult Rock psichedelico e sfacciatamente in anticipo su tempi: nel 1969, un anno prima della pubblicazione del disco di esordio dei Black Sabbath, i Coven davano alla luce il disco “Witchcraft Destroys Minds & Reaps Souls”, scrivevano canzoni intitolate “For Unlawful Carnal Knowledge” e “Pact With Lucifer”, si facevano ritrarre in abiti cerimoniali e/o nudi mentre portavano a termine riti oscuri, immortalavano il ‘gesto delle corna’ probabilmente prima che lo facesse Ronnie James Dio,…la prima canzone del disco, tanto per dire, si intitola proprio “Black Sabbath”! E’ risaputo come la scelta di chiamarsi Black Sabbath sia stata suggerita a Iommi & Co. dal titolo inglese di un film Horror del 1963 di Mario Bava, I tre volti della paura, ma a quanto pare l’idea di sfruttare il titolo in campo musicale non era poi così nuova…

A che ‘fosforo’ fanno riferimento i Mefisto? Perché un disco votato ad un satanismo così vintage dovrebbe parlare di un elemento chimico che, seppur molto importante per un corretto funzionamento del corpo umano, pare aver ben poco da spartire con il mondo dell’occulto? Come spesso accade dobbiamo chiedere aiuto alla Mitologia. Il titolo dell’album è una parola inglese, e fin qui ci siamo; in verità, però, il termine phosphorus è molto vicino al suo corrispettivo in Greco antico: la parola φωσφόρος, infatti, si legge ‘phosphòros’. Per amor di precisione dovrei scrivere la prima ‘p’ in maiuscolo: Phosphòros, perché a tutti gli effetti si parla di un personaggio mitologico. La traduzione letterale della parola greca è ‘portatore di luce’: Fosforo, in pratica, è la personificazione della luce del mattino, scientificamente prodotta dal pianeta Venere nella fase dell’aurora, poco prima del sorgere del Sole. Portatore di luce, Stella del Mattino…qualcuno di voi avrà già capito: i Mefisto fanno riferimento direttamente a Lucifero, il cui nome è in buona sostanza la versione latina di Φωσφόρος. Entrambi i nomi quindi hanno lo stesso significato letterale, vale a dire per l’appunto ‘portatore di luce’. Nelle prime righe dell’articolo parlavo di odore di zolfo e a questo punto dovrei essere soddisfatto: il titolo dell’album, dedicato nientemeno che all’Angelo Caduto in persona, segue una tradizione musicale decisamente…mefistofelica, iniziata ben prima di tutte le Prime e le Seconde ondate di Black Metal. Diventa difficile, a questo punto, tentare di etichettare “Phosphorus” e dare un nome al genere musicale di cui dovrebbe far parte. Una delle migliori definizioni che ho rintracciato è Atmospheric Blackened Metal: nonostante queste tre parole rendano sufficiente giustizia alla creatività dei Mefisto, però, va detto come escludano molti altri aspetti del disco, in particolare i molti episodi Thrash che si alternano tra un brano e l’altro. Non passa sicuramente inosservata, ad esempio, l’aggressività espressa da canzoni come “The Demigod”, “The End Of All Light” o l’ultima, arrabbiatissima “Hellhounds”, degna chiusura di un album ben riuscito e piacevolmente multiforme. Sorprende, infatti, la facilità con cui i Mefisto passano da uno stile all’altro riuscendo comunque a mantenere un’invidiabile coerenza. Sia che si ascolti l’ottima “Evocating The Necromancer”, con il suo coinvolgente ritmo inaspettatamente danzereccio, o il solenne lento “Through Purgatory Flames”, in nessun momento si rischia di scambiare i Mefisto per un’altra band, tanta è la personalità infusa in ogni traccia di “Phosphorus”. La strada intrapresa dai Mefisto, quindi, sembra essere finalmente quella giusta: l’ultimo lavoro di questi musicisti risulta essere anche la loro migliore pubblicazione. Non resta che continuare su questo percorso per ripresentarsi nei prossimi anni con un’opera ancora più evocativa e soddisfacente, in modo tale da far rinascere quel fervido culto di cui tuttora i Mefisto sembrano godere presso gli appassionati. Volete far parte anche Voi di questa ristretta cerchia? Semplice: seguite i Mefisto e date una chance alla loro musica, non ve ne pentirete…buon ascolto a tutti!

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