Recensione: Prime

Sono ormai dodici anni che gli Imperialist sono partiti per il loro viaggio interstellare, durante il quale sono stati forgiati tre LP di cui “Prime” è l’ultimo arrivato.
L’astronave statunitense, che ha così tanto a cuore le storie di fantascienza, continua così il proprio cammino, in cui il melodic black metal funge da sottofondo musicale. Sottofondo bello tosto, potente, dinamico e sciolto. Perfettamente allineato ai dettami che, come accade per una sorgente, si possono considerare come delle pietre miliari fra le quale deve passare il flusso della corrente, in questo caso artistica.
Detti dettami identificano con una chiarezza sorprendente – ma ciò non è così strano dato atto che il missaggio e la masterizzazione del disco sono stati eseguiti da Dan Swano – una forma di black metal estremamente possente, non particolarmente complessa ma precisa all’inverosimile. Nei suoi quarantaquattro minuti di durata non c’è nemmeno una nota fuori posto, un accordo stonato, uno strumento disallineato. Una pulizia davvero encomiabile, piuttosto rara nel genere trattato, che però consente di comprendere al 100% l’idea musicale e testuale dei Nostri.
Il primo a rispettare questo approccio al melodic black metal… perfetto, è Sergio Soto, chitarra e voce, che scandisce con ferocia totale ma assolutamente intelligibile le linee vocali, assurgendo al livello di un metronomo in ordine a un’interpretazione in cui nemmeno una parola è fuori posto. Né in anticipo, né in ritardo rispetto al ritmo cangiante del sound. E, in primis, sempre chiara da percepire.
Il sound è pure esso senza macchia, grazie sia a Swano, sia all’abilità strumentistica del combo statunitense, irreprensibile nella lettura di uno spartito musicale anch’esso redatto in maniera del tutto professionale. “Prime” suona, insomma, alla stregua di un compendio enciclopedico volto a definire le linee guida per dar vita a un’opera di melodic black metal aderente alla realtà dei giorni nostri.
Detto ciò, si deve pertanto applicare lo stesso ragionamento sia alla coppia di chitarre, sia alla sezione ritmica. E difatti anche in tali casi si è davanti a qualcosa che nella mente si forma come un solido a quattro dimensioni, dalle coordinate spazio-temporali armoniose nel definire le sue membrature altrettanto aggraziate ed eleganti. Il riffing è corposo, poderoso, rigoroso. Gli assoli sono quelli giusti al posto giusto. Così come il drumming di Rod Quinones, inappuntabile nel passare dai pestati mid-tempo (“Union of the Swarm“) allo sfascio chirurgico dei blast-beats (“Nocturnal Eon“).
Alla fine il quartetto californiano riesce a dare sfogo a uno stile personale, su questo non ci sono dubbi, anche se non eccessivamente originale se non altro per una importante vicinanza ad act come Troll, Limbonic Art, Carach Angren, per citarne tre (non) a caso. Stile, che, con una metodologia compositiva come quella adottata da Soto % C., rischia di apparire freddo, scolastico, privo di sorprese.
Così non è, poiché per loro fortuna gli Imperialist riescono a partorire nove brani piacevoli da ascoltare, lineari nella loro sequenza di track-list, costanti nel riproporre lo stile suddetto sempre e comunque lasciando emergere le sue principali peculiarità. L’insieme delle tracce non presenta riempitivi o banalità; al contrario, si possono apprezzare le cupe raffinatezze melodiche che sono celate ma non troppo in “Depravity Beheld” nonché in “Starstorm“, opener-track ma anche hit (sic!) del lavoro.
Alla luce di quanto sopra la conclusione è che “Prime” sia un esemplare album di melodic death metal. In tutto e per tutto, compreso un mood oscuro ma non troppo. E che gli Imperialist siano una delle migliori realtà che, oggi, professino il (sotto)genere del metal estremo. Un pizzico di imprevedibilità in più, tuttavia, avrebbe aumentato il sapore della pietanza.
Daniele “dani66” D’Adamo