Recensione: Prog Injection

Di Lorenzo Maresca - 7 Luglio 2019 - 0:24
Prog Injection
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2019
Nazione:
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75

Alberto Rigoni non è certo un musicista alle prime armi e non ha bisogno più di tanto di dimostrare quali sono le sue potenzialità. Già conosciuto nel mondo dei session men, il bassista nostrano vanta numerose collaborazioni tanto nel panorama italiano quanto in quello internazionale, passando dal pop e al cantautorato, fino ad arrivare al metal, il progressive e la fusion. La sua produzione solista, cominciata nel 2008, lo ha visto concentrarsi proprio sugli ultimi generi menzionati e, a ben vedere, anche tra le sue collaborazioni si contano alcuni nomi di spicco nel panorama progressive, basti citare Kevin Moore (ex Dream Theater), Gavin Harrison (Porcupine Tree, King Crimson) e Marco Minneman (The Aristocrats, Steven Wilson).

Nel suo ultimo album solista, Alberto è affiancato alla batteria da un musicista del calibro di Thomas Lang, altro professionista che non ha bisogno di presentazioni, lo ricorderete per aver suonato con Peter Gabriel, Paul Gilbert, Steve Hackett e molti altri. A completare il power trio troviamo infine Alessandro Bertoni, tastierista italiano stabilitosi negli States e il quale, come si può immaginare, trova in questo contesto un notevole spazio per emergere.

Il titolo, Prog Injection, dice già tutto, o quasi, quello che serve sapere. Rigoni si tuffa senza indecisioni in un progressive strumentale da lui definito “heavy prog”, etichetta che risulta tutto sommato azzeccata. Manca la chitarra, è vero, ma l’attitudine che i tre musicisti manifestano nel corso dell’album è senza dubbio più vicina al metal che al progressive rock di stampo anni Settanta, prendendo quindi le distanze dalle sonorità à la Emerson Lake and Palmer (tanto per citare il power trio più famoso nel genere) e avvicinandosi piuttosto alle esperienze, brevi ma significative, di band come Gordian Knot o Liquid Tension Experiment. Il basso granitico, dal suono ruvido, di Rigoni è la spina dorsale dei brani: protagonista in molti episodi, come ci si può aspettare, corposo quanto basta per sopperire alla mancanza della chitarra e mantenere quell’attitudine heavy alla quale si accennava. Indicativo in questo senso è “Blood Shuga”, pezzo oscuro dalla ritmica massiccia, in cui il primo strumento a spiccare è proprio il basso. Thomas Lang non è da meno, lo ascoltiamo partire in quarta su “Metal Injection”, primo vero brano di apertura dell’album in cui anche il batterista viennese trova il suo momento da solista. Alessandro Bertoni si esprime spesso attraverso i suoni spaziali che trovano nel progressive il loro habitat naturale, cercando il giusto mezzo tra suoni vintage e quelli moderni, concedendosi alcuni momenti di synth e organi distorti che richiamano da vicino le sonorità di Derek Sherinian. Tra tutti i brani merita di essere segnalato “Death Stick”, in cui Rigoni si cimenta con uno strumento particolare come il chapman stick e durante il quale compare anche come guest Jeff Hughell, bassista dalla formazione death metal, attivo con i Six Feet Under e i Reciprocal. Sarà scontato, ma quando si ascolta lo stick, soprattutto in certi generi, è difficile non pensare a un maestro come Tony Levin e il brano in questione mostra proprio alcune piacevoli reminiscenze dei King Crimoson anni Ottanta, mescolandole con influenze più moderne e inserendo alcuni eleganti intermezzi fusion. Se “Death Stick” è il brano più raffinato dell’album, “Low and Disorder” è probabilmente quello più vivace. Basso e batteria si lanciano subito in ritmiche piuttosto serrate, mentre la tastiera si abbandona alle consuete sonorità cosmiche. Non male anche la successiva “Iron Moon”, un breve epilogo che vede il basso solista immerso in un’atmosfera decisamente buia.

Quello di Alberto Rigoni è un lavoro che, come sempre accade, presenta alcuni meriti assieme a qualche punto debole. Si tratta di un album valido e le capacità dei musicisti non sono in discussione; a volte viene il pensiero che si sarebbe potuto osare di più dal punto di vista compositivo, ma se quel che conta è suonare la musica che si ama, Rigoni e compagni riescono a farlo con sicurezza, e questo aspetto traspare deciso. L’iniezione prog del bassista nostrano mantiene quello che promette: è una musica dalle atmosfere fantascientifiche, creata per il piacere e il divertimento di sentire gli strumenti in azione. Se saprete chiedere quello che questo album può darvi, senza aspettarvi quello che non è nelle sue intenzioni, allora potreste essere ripagati.

 

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