Recensione: Psychogrotesque

Di Alessandro Cuoghi - 19 Dicembre 2010 - 0:00
Psychogrotesque
Band: Aborym
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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82

Certamente un disco particolare questo “Psychogrotesque“, ultimo parto musicale dei nostrani Aborym. Particolare, sì, e per certi versi eccezionale, nel senso che l’album in questione si rivela sia un’eccezione agli standard, sia una prova che va a posizionarsi ben al di sopra della media a cui talune uscite in ambito Black Metal ci stanno lentamente e tristemente abituando.
 
Prima di analizzare il disco dal punto di vista concettuale e musicale ritengo che una breve nota bibliografica sia quantomeno dovuta a coloro che si avvicinano per la prima volta a questo particolare e mutevole progetto: gli Aborym sono una band italiana attiva dal 1992 che al giorno d’oggi (e dopo una serie di cambi di line up degni di nota, tra cui Nysrok, co-fondatore della band, ed Attila Csihar dei Mayhem), ospita fra le proprie fila Fabban, leader dei Malfeitor nonché degli stessi Aborym, Paolo “Hell-I0-KabbalusPieri, attivo negli stessi Malfeitor e nei deathsters Hour Of Penance, e Bård “Faust” Eithun, ex batterista dei seminali Emperor che dopo aver dato vita, assieme ai compagni Ishan e Samoth, al capolavoro assoluto In The Nightside Eclipse ed essersi fatto, in seguito, quasi 10 anni di galera per omicidio, decise nel 2005 di entrare a far parte della band nostrana, sostituendo la drum machine, preferita fino ad allora ad un batterista in carne ed ossa. A cotanta presenza artistica va inoltre aggiunto che al progetto hanno partecipato numerosi ospiti di fama nazionale ed internazionale, tra cui Karyn Crisis (ex Crisis), Davide Tiso (Ephel Duath) ed il sassofonista Marcello Balena.

Come accennato ad inizio recensione, con questo disco gli Aborym dimostrano non solo di aver frantumato i canoni musicali odierni, ma di averne raccolto a mani nude gli acuminati frammenti per ricomporli a proprio piacimento e creare un’opera vitrea, impregnata d’oscurità e sofferenza interiore, capace di riflettere emozioni contrastanti attraverso forme contorte e sconosciute; “Psychogrotesque” si rivela infatti un concept incentrato sulla follia, dove un’unica traccia suddivisa in più parti si snoda attraverso paranoiche evoluzioni musicali in un unicum malsano ed affascinante, che vede la perfetta fusione tra Black Metal e varie specie di elettronica, dall’EBM
(Electronic Body Music, genere particolarmente in voga nelle discoteche Dark e Goth odierne) fino alla Drum ‘n’ Bass. Tale ibrido musicale, dalle forti tinte Industrial, impastato con Jazz e suoni campionati in un turbine di psicosi sperimentale, risulterà tanto irresistibile per i più ricettivi, quanto pestilenziale e disgustoso per i vecchi puristi.

Lo stesso Fabban ha dichiarato che “Psychogrotesque” spaccherà pubblico e critica in due frangenti, garantendo che comunque la strada intrapresa con quest’album è quella su cui la band ha intenzione di proseguire il proprio cammino. L’inserimento fisso in line up Paolo Pieri, chitarrista dalle indiscutibili doti tecniche, ha apportato inoltre nuova linfa vitale alle composizioni, consentendo agli Aborym di esplorare lidi musicali finora fuori portata e di raffinare l’atmosfera di oscuro e cibernetico terrore che da tempo ne contraddistingue il sound.
La particolare miscela stilistica ed il sensibile miglioramento tecnico hanno portato in tal modo alla creazione di un lavoro compatto ma variegato, dove ogni traccia gode di personalità propria, pur rimanendo collegata alle compagne da un filo conduttore comune. Il disco infatti si snoda attraverso un’evoluzione musicale capace di dipingere le diverse forme della follia attraverso suoni e figure differenti, a partire dalla traccia “I“, malsana intro del concept, e proseguendo lungo tutta la durata del lavoro.
Lo schizofrenia prende vita nello psicotico incipit della seconda traccia (a cura di Davide Tiso), dove un violentissimo e caotico attacco strumentale sfocia in soluzioni che vedono la frenesia sonora come principale mezzo di offesa. Le vocals di Fabban (per la prima volta unico singer della band), di matrice puramente Raw Black, risuonano oscure attraverso gelide fiamme musicali create da chitarre taglienti come bisturi sulla carne viva, mentre il furioso drumming di Faust funge da possente colonna vertebrale alle composizioni. Sin da subito è notevole come gli strumenti creino appositamente profondi solchi sonori dove possano insinuarsi i famigerati sintetizzatori, resi ora ancor più prominenti che in passato.

La fredda elettronica si assicura violentemente il proprio spazio anche nella traccia numero “III“, dove serrate percussioni Drum ‘n’ Bass perfettamente sincronizzate al drumming nucleare di Faust catalizzano esplosioni distorte in stile Limbonic Art. L’isolamento e la reclusione descritti dal brano vengono sorretti da oscuri e potenti synth EBM, capaci di  trasportare l‘ascoltatore nella spirale della follia umana e risucchiarlo in un vortice tenebroso, illuminato solamente da intermittenti scariche elettriche.
Nonostante la violenza mentale sprigionata dal pezzo sia assolutamente inopinabile, probabilmente la vera vetta dell’oscurità espressiva degli Aborym è incarnata dalla successiva traccia “IV“, lento brano ambient recitato interamente in italiano e basato sui Canti di Maldoror di Lautréamont. Attraverso figure simboliche ed una violenza lirica mai sentita prima, vengono infatti espressi i pensieri di una creatura putrida e decadente, che vagola meditabonda sulla terra, sorretta solamente dal proprio coraggio e dalla consapevolezza della propria celata potenza interiore. Tale episodio, ad avviso di chi scrive, si dimostra fra i più interessanti ed originali del platter e risulta in grado di trasmettere, attraverso un’agghiacciante voce narrante, poche note e sparute percussioni, un senso di paranoia disarmante in grado di attrarre fra le proprie spire chiunque si avvicini. A semplice esempio della  follia verbale che pervade tale episodio mi permetto di riportarne un passaggio fondamentale:
“eppure il mio cuore batte… – ma come potrebbe battere se la putredine e esalazioni del mio cadavere non lo nutrissero in abbondanza ?”.

Il brano defluisce direttamente e senza interruzioni nella traccia “V“, dove, grazie all’innesto di possenti tastiere e violente raffiche chitarristiche spezzate da rocciosi cambi di tempo, le scorie musicali radioattive che caratterizzano il sound della band si fondono ad un Sympho Black di scuola Puritanical Euphoric Misanthropia dei Dimmu Borgir. Ad accompagnare alcuni passaggi  troviamo l’inusuale presenza del sax, suonato per l’occasione dal già citato jazzista Marcello Balena, che solca con maestria le furiose onde cibernetiche dell’universo musicale creato dalla band. L’odio per la civiltà umana descritto dalle lyrics si tramuta in desiderio iconoclasta e suicida nella traccia successiva, interessante esempio di sperimentazione musicale dove il Black Metal rappresenta solo un’ossatura strutturale scarnificata, ricoperta a tal punto da apparati artificiali e pustole secernenti dolore allo stato gassoso, da risultare una sorta di mutante stilistico minaccioso ed affascinante al tempo stesso. In questo caso il bilanciamento tra sfuriate Black, finezze Jazz e brutali rasoiate elettroniche sembra pressoché perfetto ed anche la conclusione, caratterizzata da una pregevole escursione lirica, si dimostra sinergica con le atmosfere evocate dal Fabban e soci. Il brano, che vede fra l’altro la presenza della cantante Karyn Crisis e nuovamente quella di Marcello Balena al sax, si dimostra sotto ogni aspetto uno fra i migliori e più violenti episodi del platter.

La componente elettronica, finora sempre presente, rimane momentaneamente celata nella apocalittica traccia “VII“, emergendo solamente a tratti e lasciando spazio all’aggressione metallica spietata e completamente Black scelta dal trio per descrivere gli incubi di uno psicopatico.
Dopo una tale dose di elettricità e come a farsi beffe del polveroso purismo settoriale che spesso contraddistingue il genere, gli Aborym decidono di stupire tutti con “VIII“, brano oscuro ma orecchiabile, completamente elettronico e caratterizzato da una violenta cassa in quarti. Tale episodio, potente ma distante anni luce dal Metal (in quanto a suoni, ma non ad atmosfere), rientra comunque appieno nella concezione stilistica del disco e, nonostante possa trovare posto nei dj set EBM delle discoteche più famose del settore, risulterà in ogni modo apprezzabile anche dal pubblico Metal più aperto mentalmente e coinvolto dal concept. L’impeto artificiale sprigionato dal brano si spegne però in breve tempo, accasciandosi sul successivo, angosciante intermezzo, dilatato ed affannoso momento di respiro prima del marziale atto “X“, brano marcio ed impregnato d’odio per la razza umana, definitiva esplosione di violenza che gli Aborym ci concedono su “Psychogrotesque”.

Sembra finita, ma come l’ultimo sketch alla fine dei titoli di coda di ogni film dell’orrore che si rispetti, lasciando scorrere il disco nel nostro lettore giungiamo alla ghost track, interamente elettronica ed ultimo sintetico battito d’ali di un lavoro che si dimostra, a conti fatti, davvero ben concepito, vario e ricco di spunti interessanti.
 
Gli Aborym hanno dimostrato di potersi spingere oltre a quanto fatto coi precedenti “Generator” e “Fire Walk With Us“, senza temere il giudizio della critica ed agendo seguendo quello che non esiterei a definire come istinto compositivo naturale e libero da vincoli.
Attraverso un gran numero di sperimentazioni estreme e poche soluzioni di mestiere, hanno saputo inoltre plasmare la propria visione del mondo, filtrandola attraverso un modo personale ed entusiasmante di traslare le emozioni in musica.
Anche dopo ripetuti ascolti i difetti riscontrabili non risultano eccessivi e restano legati più che altro ai gusti dell’ascoltatore. Probabilmente, infatti, l’eccessiva freddezza della maggior parte delle composizioni o la considerevole dose di elettronica utilizzata, accoppiate, in alcuni casi, ad una sensibile parentela stilistica con i già citati Limbonic Art e Dimmu Borgir, potranno far storcere il naso a più di una persona, ma, nel contempo, essere considerati da altri come inestimabili punti di forza del disco in questione.

Comunque, a prescindere dai pareri meramente personali, questo “Psychogrotesque” rimane l’espressione artistica di musicisti che, guardando dall’alto molti dei propri colleghi e fregandosene dell’opinione della massa, continuano a salire, percorrendo la propria strada verso una destinazione che probabilmente neanche loro stessi conoscono.

Alessandro Cuoghi

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Line Up:

Malfeitor Fabban: vocals, bass, keyboards
Paolo “Hell-I0-Kabbalus” Pieri: guitars, keyboards, backing vocals
Bård “Faust” Eithun: drums

TRACKLIST

01. Psychogrotesque I
02. Psychogrotesque II
03. Psychogrotesque III
04. Psychogrotesque IV
05. Psychogrotesque V
06. Psychogrotesque VI
07. Psychogrotesque VII
08. Psychogrotesque VIII
09. Psychogrotesque IX
10. Psychogrotesque X

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