Recensione: Purity Through Dismemberment
Terzo disco e terza corposa dose di brutal americano nel pieno della
tradizione per i Lust of Decay di Steve Green, titolare della Comatose Music,
label dedita a sonorità che non scaleranno di certo le chart mondiali, ma che
sta assumendo (o almeno dovrebbe) una certa “importanza” nei fedeli appassionati del genere.
Mantenendo sempre il ritmo di un disco ogni due anni, la formazione della
Carolina del Nord getta nella mischia Purity Through Dismemberment, che non
cambia di molto il trend avviato dalla band con il primo full-length Infesting the Exhumed.
Un disco in cui la tecnica strumentale dei componenti viene sbattuta in
faccia all’ascoltatore, senza preavviso né compromesso alcuno, proponendo un
brutal variamente intricato e convulso, in cui i brani non riescono proprio a
mantenere un andamento lineare per troppi secondi di fila. Del resto se andiamo
a scorrere la line-up dei Lust of Decay troviamo Joe Payne al basso (ora
accasato coi mostri sacri Nile, e che ha abbandonato la formazione dopo la
pubblicazione di questo album) e il tentacolare Jordan Varela, batterista
emergente che abbiamo potuto ammirare anche nell’ultima fatica dei Lividity,
Used, Abused, And Left for Dead; quindi musicisti che sanno il fatto loro, con
la giusta dose di esperienza e capacità per districarsi in un genere in cui è
molto facile compiere passi falsi. E alla luce di Purity Through Dismemberment
possiamo dire che i nostri sono andati vicini a cadere in fallo, riuscendo a salvarsi per un
pelo.
Cosa c’è che non va? I Lust of Decay continuano imperterriti in un brutal
death un po’ privo di spessore, in cui una bella dose di fantasia e personalità
in più gioverebbe non poco. Non dico che questo disco sia brutto, anzi, ma la tecnica
e le continue variazioni non aiutano ad assimilare il lavoro, privo di un pizzico
di “ignoranza” e di semplice, pura, violenza. Un album composto da brani che non riescono bene a
distinguersi l’un l’altro -cosa che non è un grosso problema in questo genere, a
dire il vero- e che faranno arrivare alla fine del disco solo i sostenitori più
accaniti, quelli che proprio non si daranno per vinti, che verranno premiati solo dopo
vari passaggi nel lettore, riuscendo comunque a scovare le qualità di Purity
Through Dismemberment. Non c’è una canzone in particolare da segnalare, tutte
ottimamente suonate (sentite cosa combina Varela in Licking Bacterial Ecstacy…)
ma un po’ tutte altalenanti tra numerosi passaggi che lasciano letteralmente
senza parole e altrettanti fraseggi rivedibili e ampiamente migliorabili, ricche di stacchi e ripartenze
in cui la voglia di infarcire il tutto con troppa perizia sovrasta l’impatto e
la fruibilità del disco; e su questo punto Varela si dimostra abbastanza colpevole, col suo drumming a volte sin troppo
elaborato, dove qualche sano vecchio blast beat in più eseguito alla velocità della luce
(che ha dimostrato si saper fare con i gia citati Lividity) avrebbe coperto un
leggero calo nel songwriting.
Rimane comunque un disco che nonostante tutto merita attenzione da parte dei
fanatici cultori del brutal underground d’oltreoceano, specchio di una band che
non ne vuole sapere di cambiare direzione e aspirare a bacini d’utenza più ampi,
apparentemente appagata del “successo” che dischi comunque sentiti e carichi di
passione come questo riescono a dare. Musicisti che dimostrano un attaccamento
quasi morboso alla scena, in cui l’esempio di Joe Payne è lampante: vinta la
lotteria coi Nile, il giovane musicista continua a suonare la propria musica (con i
suoi Domination Through Impurity, insieme all’instancabile Varela)
con la quasi certezza di rimanere nell’ombra. Un disco non privo di difetti, ma
che possiede comunque gli attributi necessari per essere apprezzato.
Stefano Risso