Recensione: Reconquering The Pit

Di Davide Iori - 22 Luglio 2008 - 0:00
Reconquering The Pit
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Anno: 2007
Nazione:
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66

A volte è davvero difficile farsi un’idea su un disco non tanto perchè esso sia talmente innovativo da non rientrare in alcuna categoria predefinita, ma piuttosto in quanto la musica che esso contiene non eccelle in alcuna direzione, nè in quella buona nè in quella cattiva. Gli album di questo tipo divengono anche assai difficili da recensire, in quanto non è per nulla semplice mettere assieme qualche centinaio di parole utili a descrivere una proposta che, davvero, non ha nulla di speciale. I Lay Down Rotten arrivano alla loro quinta pubblicazione sulla lunga distanza con questo Reconquering The Pit e cascano a pieno titolo nell’anonimato proponendo un death-core un po’ alla Black Dahlia Murder un po’ originale, sicuramente di buona fattura, ma che non riesce ad ergersi fuori dalla massa per i motivi che cercherò di spiegare.

Fin dalla prima traccia il disco mostra buone credenziali, con la title track e Sound of Breaking Bones che risultano godibili e nemmeno eccessivamente esigenti in quanto a tasso di attenzione per essere apprezzate, cosa davvero buona in un genere che sta sempre più andando ad evolversi verso soluzioni estremamente complesse a livello strumentale e che dunque richiedono all’ascoltatore di mantenere una concentrazione altissima per poter capire cosa sta succedendo. Il problema è che esso, dopo un inizio non certo pirotecnico anche se comunque valido, va subito ad arenarsi, proponendo canzoni che non riescono a catturare l’interesse del pubblico prodotte oltretutto in maniera lacunosa: la batteria infatti è priva di mordente (vedere ad esempio la cassa, davvero troppo piccola come suono e mixata a volumi troppo bassi per un genere come questo) inoltre vi sono anche errori esecutivi, soprattutto per quanto riguarda i blastbeats. La voce è un altro meno per quanto riguarda l’aspetto puramente esecutivo: troppo monocorde per risultare interessante, rimane ancorata ad un growl tecnicamente ineccepibile, ma che alla lunga annoia solamente.

Che dire dunque? E’ innegabile che l’esperienza, il talento e l’applicazione siano presenti in questo Reconquering the Pit, ma è anche un fatto che, una volta inserito il disco nel lettore, si faccia davvero fatica ad ascoltarlo per più di due o tre canzoni di fila senza cominciare a pensare ad altro e ritrovarsi, se mai cinque minuti più tardi, a sentire le note di una canzone che sta tre o quattro tracce dopo quella che si stava ascoltando, accorgendosi di aver perso tutto quello che stava in mezzo. Per un recensore questo è frustrante, in quanto si ritrova costretto a tornare indietro e rifare tutto da capo, per un ascoltatore invece questo deve essere un avvertimento a non comprare il disco a meno che non sia davvero un fan della band in questione. Non si può comunque stroncare totalmente i Lay Down Rotten in quanto essi comunque mettono in mostra una proposta matura e ben arrangiata, con un lavoro di chitarre pregevole soprattutto per quanto riguarda le parti in shred. Pur non perdendosi in assoli infatti Nils Forster crea intrecci di scale ed arpeggi in sweep molto belli, che aggiungono punti al totale e permettono dunque a questo Reconquering The Pit di guadagnarsi la sufficienza abbondante. La prossima volta però ragazzi… varietà, varietà, varietà.

Tracklist:
01. Anarchic Outburst (0:39)
02. Reconquering The Pit (4:59)
03. Sound Of Breaking Bones (5:19)
04. Bitter Thoughts (4:43)
05. New Mechanic Human Phenomena (4:48)
06. Demons Breed (4:23)
07. Nihil (5:27)
08. Unholy Alliance (5:50)
09. All Of This Pain (5:58)

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