Recensione: Rev It Up

Di Alberto Vedovato - 11 Settembre 2009 - 0:00
Rev It Up
Band: Vixen
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 1990
Nazione:
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83

Nel 1968 Russ Meyer girava un film intitolato “Vixen!”, dalle caratteristiche erotiche e cartoonesche, incentrato sulle peripezie di una giovane ninfomane di nome, appunto, Vixen.
Nel 1980 quattro ragazze del Minnesota decidono di assumere questo nome per la loro hard rock band.
E vent’anni dopo l’uscita del film, la parola Vixen torna a far parlare di sè.

É del 1988, infatti, il primo omonimo album di Janet Gardner e socie, edito dopo che, abbandonata la provinciale città d’origine, il gruppo si trasferì a Los Angeles per cercare il colpo grosso.
Prima di incidere il debut, venne assoldata alle pelli una certa Roxy Petrucci, già rodata nei Madame X (gruppo in cui suonò per un breve periodo anche Sebastian Bach, famoso frontman degli Skid Row) e una all-female band nella patria dell’Hair Metal non poté di certo passare inosservata.
Dopo il successo ottenuto dall’ottimo esordio (e chi si scorda quella gran cassa battuta col tacco a spillo all’inizio del video di “Edge Of A Broken Heart”?), giunse, nel volgere di poco tempo, il secondo capitolo “Rev It Up”, disco bellissimo che sarà purtroppo anche il canto del cigno di questa folgore.

Un album segnato dall’inizio fulmineo a carico della title track (alla cui stesura ha partecipato anche Ron Keel, già capobanda di Keel e Steeler), brano molto veloce in cui i riff s’inseguono su una matrice heavy molto marcata. Di gran livello anche il pezzo seguente scritto, questa volta, con Steve Plunkett, singer degli Autograph. “How Much Love” riporta in auge la vena più melodica della band, coinvolgendo chi ascolta con un ritornello semplice ma di grande impatto.
Come ormai la storia c’insegna, a lasciare veramente il marchio indelebile nella memoria dei fan sono molto spesso le ballad che da “Home Sweet Home” in poi saranno obbligatorie in ogni album Glam che si rispetti.
Anche le Vixen non sono da meno e “Love is a Killer” è uno di quegli slow capaci di imprimersi nella memoria di tutti noi. Merito soprattutto della splendida voce di Janet Gardner che interpreta il pezzo in maniera sublime, graffiando con una dolce cattiveria, aiutata e sostenuta da cori – come d’altronde in tutto il disco – perfettamente riusciti.
“Not a Minute to Soon” è senza dubbio uno dei momenti migliori del lotto. Certo, la scuola del maestro Bongiovanni in questo brano è più evidente che mai, ma ciò non toglie valore ad una melodia con una marcia in più, confezionata al meglio in ogni suo aspetto.
Si rialzano i ritmi e “Streets of Paradise” (ancora opera di Plunkett) torna a strizzare l’occhio alle sonorità più heavy. Per la prima volta i cori non sono di supporto alla voce ma sono protagonisti di un botta e risposta durante il ritornello.
Le successive “Hard 16”, “Bad Reputation” e “Fallen Hero” continuano sui livelli delle precedenti, spingendo a tratti l’acceleratore, per poi rilasciarlo nelle aperture più melodiche. Una menzione speciale per il riff roccioso e imponente della seconda.

Il trio finale purtroppo lascia invece un po’ d’amaro in bocca. Si inizia con l’altalenante “Only a Heartbeat Away”, capace di destare l’attenzione solo nella seconda metà, quando stacca con un ottimo coro a cappella accompagnato dai soli quarti di gran cassa, attimi in cui  la canzone sembra risvegliarsi da un torpore che ne aveva fin troppo smorzato i toni nella prima parte.
Se “Love is a Killer” ha lasciato il segno, sicuramente non è cosi per la seconda ballad del platter “It Wouldn’t Be Love”. Intendiamoci, il pezzo è nel complesso carino, con un pre-chours e un ritornello ai quali è veramente difficile resistere. Pecca però di un terribile odore di già sentito, oltre che di una prolissità davvero snervante. Forse, nonostante la scarsa originalità, con un minuto in meno di durata avrebbe guadagnato qualche punto in più.
La situazione si risolleva col finale affidato a “Wreckin’ Ball”, un bel brano tirato, con un riff che potrebbe esser uscito dalla libreria di Joe Perry e un refrain spiccatamente in stile Skid Row.

Se con “Vixen” le quattro attirarono l’attenzione dei glamster, con “Rev It Up” lasciarono decisamente il segno. Il disco non raggiunse forse la freschezza del primo album, ma fu in grado di mostrare una maggior consapevolezza delle qualità in possesso delle quattro ladies (e non mi riferisco al fisico, maliziosi!). A cominciare dalla notevole voce della Gardner, passando per i soli e i riff riuscitissimi di Jan Kuehnemund, sino ad arrivare alle martellate ritmiche di Roxy Petrucci. Ottime musiciste insomma.

Peccato solo per la prematura dipartita dalle scene, manifestata prima con lo scioglimento e, in seguito, con una reunion sfociata nel mediocre ed inutile “Tangerine”.
Elementi che, ad ogni modo, non devono far dimenticare il solido contributo offerto da “Rev It Up” alla storia del genere, tanto da renderlo un disco inseribile senza alcuna remora tra i must a tutti gli effetti da avere assolutamente.

 

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Tracklist:

01. Rev It Up  –  5:00
02. How Much Love –  4:40
03. Love Is a Killer  – 4:43
04. Not a Minute Too Soon – 4:26
05. Streets in Paradise – 4:32
06. Hard 16 – 4:05
07. Bad Reputation – 4:09
08. Fallen Hero – 5:17
09. Only a Heartbeat Away – 5:07
10. It Wouldn’t Be Love – 4:42
11. Wrecking Ball – 5:10

Line Up:

Janet Gardner – Voce, Chitarra ritmica
Jan Kuehnemund – Chitarra solista, Cori
Share Pedersen – Basso, Cori
Roxy Petrucci – Batteria, Cori

 

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