Recensione: Rebirth of the Beast

Di Fabio Vellata - 15 Ottobre 2025 - 0:20
Rebirth of the Beast
Band: Dragonsfire
Etichetta: Metalapolis
Genere: Power 
Anno: 2025
Nazione:
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72

“Through the thunder and through the rain
Climbing mountains so high
Hunting for glory and never give up
We Ride, We Ride

Back is the power
We need to fly
Chasing for glory
Together we ride
We Ride”

Basterebbero queste strofe tratte del testo dell’opening track “We Ride” per sintetizzare il nuovo album dei tedeschi Dragonsfire e chiudere qui la recensione. Ma, siccome oggi piove e non c’è niente da fare, o vado al bar già a metà pomeriggio, oppure, anche per dovere di cronaca, mi metto a scrivere qualche riga su questo nuovo capitolo della band di Riedstadt.

Attivi dal 2005, i Dragonsfire hanno esordito nel 2008 con il full-length “Visions of Fire“, seguito da “Metal Service” nel 2010. Successivamente, però, hanno un po’ tirato il freno a mano, limitandosi a pubblicare solo qualche EP e sporadici singoli. Una probabile causa di questo rallentamento potrebbe essere stata la scomparsa del cantante e bassista Thassilo Herbert, avvenuta nel 2015, un episodio che, assieme ad altre vicissitudini, deve aver influito non poco sull’attività della band.
Ma alla fine, proprio come il drago che campeggia nella copertina di questo come back, la bestia è rinata, ed è così che nel 2025 i Dragonsfire sono ancora tra noi con il nuovo album “Rebirth of the Beast“.

La formazione attuale vede schierati gli storici chitarristi Matthias Bludau e Timo Rauscher, il bassista Peter Schäfer, il cantante Dennis Ohler e il batterista Elias Bludau, entrato in squadra da appena un anno.

Se Judas Priest, Helloween e Running Wild hanno acceso la fiamma, adesso tocca anche alle formazioni come i Dragonsfire continuare a buttarci sopra benzina per tenerla sempre viva.
Come facilmente intuibile, i cinque metalhead tedeschi fanno parte della nutrita schiera di band votate al sacro verbo del power meal più cromato: quello urlato, suonato, sudato e vissuto sopra e fuori dal palco. Quindi niente orchestrazioni plastificate, incursioni in ambito prog o strizzate d’occhio a trend moderni, solo watt e potenza. Va detto che il già sentito è costantemente in agguato, ma ciò non rappresenta un particolare problema per gli aficionados della triade chitarre, borchie e draghi, che troveranno in “Rebirth of the Beast” quanto basta per saziare il loro appetito.musicale.

L’accoppiata d’apertura composta dalla già citata “We Ride” e “Speak of War” è già sufficiente a far capire cosa troveremo nel resto del disco. I Dragonsfire pescano senza timore dal power tedesco e dalla NWOBHM con la stessa disinvoltura con cui un barman mescola i vari ingredienti per preparare un cocktail. Nel caso del combo tedesco si tratta di una bevanda dal sapore conosciuto della quale però, non dispiace mai berne un altro sorso.
La produzione è molto old school ed essenziale, anche se a volte, bisogna dire, scivola in qualche sbavatura, come ad esempio sull’assolo di “A Portal to Escape“, dove la chitarra tende un po’ a stridere. Inoltre, paiono un po’ eccessivi anche i volumi della batteria, che in più punti del disco risultano troppo invadenti.

La tracklist di “Rebirth of the Beast” continua senza interruzioni con brani a cavallo tra sfuriate power e tempi medi. Basterebbe citare “Hungry Beast” e l’epica “Preacher“, dove riff corposi, batteria fragorosa e ritornelli gloriosi vengono distribuiti con generosità. Il tutto senza offrire particolari colpi di scena, ma riuscendo comunque a cavare fuori il giusto necessario per accontentare i propri ascoltatori. Tutti i cliché del genere sono ripetuti dalla prima all’ultima nota di questo lavoro senza preoccuparsi minimamente del rischio di essere identici a se stessi. Al contrario, pare proprio che i Dragonsfire ci provino gusto a giocare a carte scoperte, facendo tutto quello che ci si aspetta da loro. Un atteggiamento che pare una sorta di sfida nei confronti di tutti quelli che potrebbero accusarli di scarsa originalità.

Charge Ahead” e “Don’t Live in Fear” si rifanno a un power vecchia maniera senza perdersi in troppi ritocchi e rifiniture. La proposta diretta e grezza della band prende spunto dai soliti nomi del panorama internazionale e li rilancia senza particolari stravolgimenti. La scena tedesca è quella da cui i Dragonsfire traggono maggiore ispirazione, ma gli episodi migliori di questo lavoro vengono espressi rivolgendo lo sguardo alla scuola inglese. Prima con “W.I.T.G.A.G.O.T.O.S.“, un divertente brano molto debitore agli Iron Maiden, poi con “80’s Boys (Metal Is a Life)“, dove le influenze NWOBHM si arricchiscono di una certa melodia radiofonica. I Dragonsfire non si fermano a riposare nemmeno un momento, continuando a distribuire mazzate di metallo pesante in tutte le tracce di questo album. Inserire una ballad non pare rientrare nei loro piani. Sulle prime note poteva sembrarlo “A Portal to Escape“, ma anche in questo caso, dopo un minuto il pezzo esplode in una cavalcata epica. La traccia posta in chiusura è la priestiana “Dragons Never Surrender“, un titolo che riesce ad illustrare perfettamente l’attitudine della compagine teutonica a perseverare nel tempo senza mai mollare la presa.

In alcune edizioni di “Rebirth of the Beast” è presente anche la bonus track “Cider Victims“, un onesto heavy power che, senza aggiungere né togliere niente a quanto ascoltato, va a sposarsi alla perfezione con il materiale già presente nella versione standard.

Con “Rebirth of the Beast“, i Dragonsfire mettono sul piatto un album schietto e diretto. Un power metal poderoso ripulito da tutta la bigiotteria fatta di tastiere pompose e teatralità sinfoniche che si trova in giro. Un lavoro che, pur senza toccare particolari vette compositive, riesce comunque a colpire con efficacia e ad offrire quanto basta per consentire ai Dragonsfire di tornare a testa alta per celebrare i loro vent’anni di attività.

https://www.dragonsfire.de/

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