Recensione: Russian Roulette

Di Zinco85 - 20 Novembre 2007 - 0:00
Russian Roulette
Band: Accept
Etichetta:
Genere:
Anno: 1986
Nazione:
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90

Un critico inglese, negli anni ’80, definì la voce di Udo Dirkschneider, cantante dei tedeschi Accept, “il verso di un alieno che partorisce”, inquadrando alla perfezione la percezione che aveva il pubblico del combo di Solingen, vera istituzione della scena metal europea. Nella prima metà degli anni ottanta, gli Accept hanno rappresentato quanto di più credibile ed estremo era dato possibile ascoltare, nonchè la più concreta alternativa al dominio anglo – americano dell’hard sound dell’epoca.

Nati nel 1978 per iniziativa di Udo, i tedeschi hanno dalla loro uno dei migliori macina-riff metallici mai esistiti, cioè un certo Wolf Hoffmann, che fonde rock duro e interpretazioni “tchajkovskiane” in una miscela di HM e musica classica, impresa riuscita solo a pochi altri eletti. Nel 1986 gli Accept non hanno più nulla da chiedere in nessun campo: fama, soldi, successo; il tutto grazie a un trio di album memorabili racchiusi tra il 1983 e il 1985: Restless And Wild (disco contenente la traccia forse più famosa degli Accept: quella Fast As a Shark che ha dato il via nientemeno che allo speed metal), Balls To The Wall (a mio parere il loro miglior disco) e Metal Heart. Arrivata al 1986 la band è allo stremo per gli interminabili tour seguiti a questi capolavori, che ne hanno accresciuto la fama soprattutto in estremo oriente e in Europa (meno in America) quindi tutti si aspettano un disco che deluda le aspettative e sotto il livello dei suoi predecessori.

La cosa però puntualmente non accade e gli Accept stupiscono di nuovo fan e critica dando alla luce un altro grandissimo capolavoro: Russian Roulette. Il disco si apre con tre brani da antologia che definiscono alla perfezione non solo il mondo Accept, ma anche tutto il metal europeo degli anni ’80. Gli accordi di chitarra nello scarnificante speed iniziale Tv War sono missili sparati a tutta velocità che Hoffmann rende assolutamente micidiali con un tocco vellutato e, allo stesso tempo, incendiario. Sopra tutto sta però la voce sgraziata di Udo che rende la canzone uno degli highlight dell’album.

Monsterman è un affilatissimo riff metal, ma è anche il manifesto della caratura della band, con un controllo degli strumenti assolutamente eccezionale. Si entra nel buio, tra spire d’acciaio, con la title-track che avanza come un blindato nella notte con il suo ritmo corazzato. In un memorabile crescendo, Udo porta l’ascoltatore in una cruda visione di schiavitù e abominio, resa magniloquente e tragica dal blasfemo coro centrale (“Che menzogna  dirmi che ero immortale/ che menzogna vendermi la tua gloria / dov’era Dio quando mi hanno fatto a pezzi? / è in grado di fermare questo gioco maledetto?”). La formazione tedesca passa poi ad un manifesto anti religioso in Heaven Is Hell, che possiede un ritornello corale da paura. Walking In The Shadow è sostenuta dalla sezione ritmica “panzeriana” di Stefan Kaufmann e Peter Baltes, fornendo un devastante commento sonoro alla storia di pallottole vaganti sul muro di Berlino narrata da Dirkschneider.

Le seguenti due canzoni sono più tranquille ma comunque all’altezza delle prime: It’s Hard To Find A Way è una semi-ballad emozionante mentre Man Enough To Cry è un hard blues iperdistorto. Le successive Another Second To Be e Aming High , forse un tono sotto il livello magistrale dell’album, sono il preludio al vero capolavoro, la conclusiva Stand Tight, un hard rock che suona come una terrificante marcia funebre, agghiacciante nelle suggestioni totalitariste che trasmette. Qui Hoffmann tira fuori il meglio da sè stesso con un riff fantastico e con un assolo altrettanto perfetto.

La band non regge all’onda d’urto del massacrante tour del 1986 e l’anno dopo Udo lascia la band e continua come solista con la band omonima. Gli Accept sono stati protagonisti di alcune delle pagine più entusiasmanti della storia del metal, influenzando praticamente ogni band tedesca venuta dopo di loro, grazie al carisma e alla voce inconfondibile di Udo Dirkschneider, vero totem dell’heavy metal anni ottanta e al tocco speciale di una delle migliori macchine da riff in circolazione: Wolf Hoffman. Un po’ della loro eredità è stata portata negli U.D.O, ma nulla sarà mai come in quel magico poker (1983-!986) anni Ottanta.

Zinco85

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