Recensione: Scrape Across The Sky

Di Stefano Burini - 18 Aprile 2017 - 0:00
Scrape Across The Sky
Band: IQ
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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70

Dai tempi in cui gli IQ venivano “semplicemente” inseriti nella cerchia degli alfieri del cosiddetto neo-prog ne è passata di acqua sotto ai ponti e c’è da dire che le evoluzioni più recenti hanno ridefinito in maniera piuttosto sensibile i contorni di una proposta che dal suddetto neo-prog si è spostata verso sonorità più moderne e al passo coi tempi senza, per fortuna, dimenticare classe e proprietà per strada.

“Scrape Across The Sky” è l’ultimo parto della band britannica, un live album registrato nei Paesi Bassi nel 2014 e composto da quattordici canzoni in buona parte estratte – come tour promozionale esige(va) – dall’allora ultimo nato “The Road Of Bones”.

La qualità dell’esecuzione e della registrazione si dimostrano fin dall’inizio di alto livello – cosa che ovviamente non stupisce data la caratura e l’esperienza del gruppo capitanato da Peter Nicholls e Mike Holmes – per quanto appaia immediatamente evidente che far faville a suon di improvvisazioni, riarrangiamenti etc. non sia esattamente l’idea di live che gli IQ avevano in mente.

Va ad ogni modo detto che le canzoni di “The Road Of Bones” (in particolare del primo disco), al netto della citata mancanza di “fuochi d’artificio” occupano la maggior parte del minutaggio dell’album in maniera piuttosto gagliarda, complice il probabile e lodevole trasporto del cantante e della band tutta nel portare on stage le nuove “creature”, ben coadiuvate dalla lunghissima eppur godibile “Awake And Nervous”  e da altri “classici moderni” quali “Ten Millions Demons” e “The Seventh House”.

I momenti di maggior stanca, di certo non per caso, paiono viceversa affiorare quando fanno capolino le più vetuste “Leap Of Faith”, “Outer Limits” e “Widow’s Peak”, sinceramente incapaci (in questa versione) di reggere il confronto con il materiale più recente.

Al tirar delle somme un buon live album, un’opera sinceramente non irrinunciabile ma di certo utile come testimonianza del buonissimo – a dispetto della non più verde età – stato di salute di una band cardine del prog rock anni ’80, sorprendentemente più a proprio agio con musica più recente che non con gli ormai attempati classici.

Paradossalmente un potenziale buon viatico nella speranza che gli IQ riescano prima o poi a dar forma ad un degno sequel dell’ispiratissimo “The Road Of Bones”.

Stefano Burini

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