Recensione: Secrets From The Past

Di Andrea Bacigalupo - 21 Dicembre 2021 - 8:30
Secrets From The Past
70

Secrets Fron the Past’ è il nuovo album dei Disaster, Medellin, Colombia (giusto per distinguerli dagli altri sedici che si chiamano nello stesso modo).

La band, nonostante faccia parte del circuito underground sudamericano fin dal 1992 ed abbia calcato i palchi con nomi come Exodus ed Havok, è però sempre stata molto parca nel pubblicare album: precedenti a questo ‘Secrets From the Past’, disponibile dal 19 novembre 2021 via Iron Shield Records, troviamo solo il full-length di debutto, ‘Blasphemy Attack’ del 2014, pubblicato sempre con l’etichetta tedesca, ed il primo demo esplorativo del 2002, dal titolo ‘Rehearsal’.

Il loro è un Thrash che riprende fedelmente l’attitudine del movimento che scorazza nel continente latino fin da quando loschi figuri, come Sepultura, Sarcofago e Dorsal Atlantica, sono usciti dagli angoli più bui: molto legato alle sonorità primitive di quei tempi, ma anche ben piantato nei giorni nostri.

Mai lanciato a rotta di collo, ma bensì piuttosto controllato, il loro sound evidenzia una forte carica malvagia, ottenuta dall’intreccio del Thrash Old School con sonorità più tipiche del mondo del Black Metal.

Ritmiche infernali, blast beat ed un buon uso di doppie voci demoniache amplificano ritmiche abrasive ed assalti detonanti, il tutto tenuto assieme da una buona tecnica, sia strumentale (soprattutto per quel che riguarda il lavoro di chitarra) che compositiva.

Secrets From The Past’, pur non racchiudendo nulla di nuovo, non è neanche scontato e, nella sua mezz’ora scarsa, scatena parecchia energia attraverso brani tirati ‘in your faces’ senza troppa educazione, ma comunque dinamici e frutto di uno studio piuttosto curato.

E’ come se fosse una colata di lava sulfurea che, inarrestabile, sovrasta tutto quello che incontra: dall’iniziale ‘Demonic Curse’, veloce, con le sue strofe che più Vecchia Scuola di così non si può, alla dinamica ‘Ancient Rites’, che parte pesantissima, poi accelera ferocemente, poi rallenta e poi decolla nuovamente in un turbinio di violenza, od ancora: la rocambolesca ‘Cold Blood’, la prepotente ‘Without Tomorrow’ o l’articolata ‘Dark Reality’, sono tutti pezzi che graffiano e lasciano il segno.

Da segnalare la presenza di ben due strumentali: ‘Living Fast, Dying Young’, sulla stessa scia dell’album e la conclusiva ‘Disillusions’, brano dall’atmosfera inaspettata, profondo ed evocativo con quale i Disaster ci fanno uscire dall’inferno nel quale ci avevano gettato.

Concludendo: un lavoro che non fa gridare al miracolo, ma buono ed onesto, con soluzioni sufficientemente personali da mantenere vivo l’interesse per questa band dalle buone qualità che, speriamo, ora faccia passare meno tempo per farsi risentire. Da ascoltare senza troppi ostacoli intorno.

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