Recensione: Semaphore

Di Haron Dini - 17 Ottobre 2020 - 10:25

Negli ultimi anni l’Europa ha cominciato a portare nelle scene musicali metal moltissime band interessanti provenienti dall’underground. Non è il caso di citarle tutte, però il consiglio spassionato che vi dà la redazione di Truemetal è quello di seguire le etichette discografiche sui loro canali social, dove vengono pubblicati videoclip, album in streaming (a volte anche gratuitamente), ma non solo, anche i link dei loro cataloghi con le band sotto contratto, così da conoscere il target dell’etichetta e i generi musicali che promuove.

Oggi parliamo degli inglesi Black Orchid Empire e del loro quinto lavoro in studio, Semaphore, pubblicato dall’etichetta Long Branch Records di Hannover, che promuove per lo più band della scena djent e core. In questo caso, tuttavia, abbiamo a che fare con una band che sperimenta nell’alternative metal, incorporando degli elementi che, tecnicamente parlando, creano momenti molto avvincenti.

Il disco inizia con “Emissaries”, una breve intro che apre il sipario a “Singularity”. La sua pesantezza e i ritornelli pop la fanno da padrone in tutta la sua interezza. “Natural Selection” cambia le carte in tavola, adottando (musicalmente) un approccio leggermente più riflessivo, ma sempre diretto a livello strumentale. Ma il disco va oltre alla presenza di vocals eteree, così abbiamo “Motorcade” a creare un punto di svolta, tra climax che vanno dal post rock e il metal moderno, alternandoli con sonorità rock e ambient di matrice pop americana. Le seguenti “Red Waves” e “Winter Keeps Us Warm” rimangono sulle stesse coordinate, senza presentare troppe innovazioni all’interno dei brani, però la cosa che salta subito all’occhio è la traccia seguente, “Dust”, che picchia energicamente nelle parti più ritmate, differenziandosi dai brani che abbiamo ascoltato finora.

Andando avanti con il disco non troviamo variazioni sostanziali, in “Faces”, “Death From Above” ed “Evergreen” il sound resta il medesimo, semmai una menzione molto favorevole va fatta alla penultima traccia “Monolith”. Questo brano presente infatti delle influenze fortissime che richiamano gli Alter Bridge, ma non per questo va considerata una copia carbone, anzi, nel complesso è una song nella quale tutto si tiene, sezioni strumentali, arrangiamenti e vocals. Il gran finale spetta alla conclusiva “Crash”, un brano completamente elettronico dalle sonorità eloquenti, dove il protagonista indiscusso è il vocalist Paul Visser: con un’attenzione specifica ai dettagli e note gelide in clean guitar i Black Orchid Empire creano un brano stratificato in ogni sua sfumatura che chiude degnamente il platter.

Quindi, quando parliamo di Semaphore parliamo di prog moderno? Di una nuova ondata della musica “core”? Se bisogna cercare proprio il pelo nell’uovo, contando tutte le influenze che ci sono nell’intero lavoro, i Black Orchid Empire sono una band alternative metal sperimentale, ma che dà spazio alla cosiddetta scena “Arena Rock” basti considerare che qualche anno fa, hanno supportato on stage gruppi come Biffy Clyro e Skunk Anansie. Nel complesso, dunque, è un lavoro godibile, che vuole piacere di primo impatto, senza però inventare nulla e, sotto sotto, il combo inglese non ha nulla da invidiare ai grandi nomi di questo panorama. Promossi!

 

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