Recensione: Showtime, Storytime

Di Luca Montini - 21 Dicembre 2013 - 2:00
Showtime, Storytime
Band: Nightwish
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2013
Nazione:
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75

Appena un anno fa si consumava la seconda “fine di un’era” della storia dei Nightwish. Per alcuni un’era stricto sensu, per altri poco più di un periodo transitorio. La prima era (1996 – 2006) ha condotto la band dal sentiero degli elfi in terra finlandese fino al successo internazionale, grazie quell’incrocio di power e gothic metal che è divenuto marchio di fabbrica del gruppo, imitato in ogni terra ma mai eguagliato in originalità e fantasia compositiva. L’album Once (2004) ha posto l’ultima, epocale pietra miliare su quel sentiero, conclusosi con la ‘lettera di licenziamento’ alla storica cantante Tarja Turnen. “End of an Era” (2006) divenne il live DVD che sanciva l’ultimo spettacolo dal vivo dell’epoca di Tarja.
La seconda era (2007 – 2012) è quella di Anette Olzon, iniziata dopo una pessima telenovela tra botta e risposta con Tarja (e marito), una lunghissima audizione, tanto hype per scaldare i fan ed un album riuscito a metà come Dark Passion Play (2007): grandi composizioni, idee ‘musicali’ come se piovessero ma una cantante un po(p)’ precaria, criticata da gran parte dei fan, poco a suo agio con musicalità così tanto lontane dalla sua natura vocale quanto probabilmente dalla ‘cantante ideale’ che giaceva nella mente di Tuomas mentre scriveva i brani. Tre anni dopo l’album Imaginaerum (2011) porta sul palco del teatro una band più matura, con brani che finalmente si adattano alla perfezione alla voce Anette, un gran putiferio orchestrale hollywoodiano un po’ easy listening ma di grande impatto e molto coreografico – ed è proprio questo roboante spettacolo che “Showtime, Storytime” mette in scena al Wacken.

Il Wacken Open Air , del resto, è la cornice ideale per registrare un live DVD, o almeno così la pensano le numerose band che ivi hanno registrato un concerto. Al di là di ragioni cosmico-trascendentali, a mio avviso la causa originale di tanta propensione al registrare un live al W:O:A va ricercata proprio nel pubblico delle grandi occasioni che puntualmente si presenta in terra tedesca. Una folla spaventosa che quasi si perde all’orizzonte, come nell’effetto “Ghost River” con dissolvenza sul blu, evocato dalla cover del disco. Ma a guardare bene tra i membri della band, qualcosa è cambiato. Non sto ovviamente parlando della barba del nuovo (in tutti i sensi) polistrumentista Troy Donockley, quanto della bella ed imponente Floor Jansen degli After Forever tra i ranghi ufficiali della band.
È l’inizio della terza era. Dopo qualche incidente diplomatico (come la sostituzione della malata Anette da parte delle coriste dei Kamelot in un infausto show a Denver, US) e numerose incomprensioni, la band si è separata dalla Olzon in un altro teatrino un po’ squallido. “The show must go on”, e Floor Jansen si ritrova ad essere la nuova cantante ufficiale dei Nightwish – in barba a concorsi e selezioni.

Quale prova migliore di un live per testare la tenuta della nuova band? E soprattutto, per la band, quale occasione migliore di vendere qualche copia in più sulla cresta dell’onda di tali rivoluzioni e premendo sulla vorace curiosità dei fan di rimirare la nuova cantante in azione?

“All for Once, Once for all”: ben 5 pezzi dall’ultimo album della prima era. L’apertura di “Dark Chest of Wonders” è ormai un classico, anche se la super-distorsione di Emppu si perde un po’ impastata tra cori e pubblico, con un effetto poco piacevole all’udito… tutto si risolve in pochi istanti e capiamo fin da subito perché Floor. Perché la sua voce non è quella lirico-operistica di Tarja, non è quella witch-pop di Anette, ma è una bella e grintosa voce rock: quello che ci aspettiamo dai Nightwish. La band si diverte sul palco, in una situazione non facile sembra suonare molto distesa e sicura; sembrano lontane le polemiche montate su webzine e riviste per vendere più copie o aumentare i click: finalmente c’è solo musica sul palco, ed è indubbiamente questa che vogliamo e di cui vogliamo parlare.
La produzione è graffiante, un po’ sporca, il pubblico compare molto spesso e si potrebbe discutere a lungo sul preferire live album di questa fattura, più ‘naturali’ e diretti od altri più artefatti ed elaborati in post-produzione che quasi sono una riproposizione in una nuova veste di uno studio album.
Segnaliamo un Marco Hietala leggermente sottotono al microfono, molto semplici gli intermezzi dialogati col pubblico tra un brano e l’altro, ma l’essenza musicale c’è. “Wish I Had an Angel” non fa rimpiangere il passato, mentre “She is my Sin” cambia veste per adattarsi alle nuove corde (vocali) senza perdere il suo fascino.
Ovviamente presenti in maggior numero i brani di “Imaginaerum”, tra una “Ghost River”, una “Storytime” ed una danzante “I Want My Tears Back”.
Si fa notare la strumentale “Last of the Wilds”, scelta un po’ ardita, in quanto assieme ad “Amaranth” uniche rappresentanti di “Dark Passion Play”; piatto un po’ povero per i fan di quest’album neppure troppo remoto. Molte chicche, come una “Everdream” davvero da pelle d’oca, a fronte di una prestazione davvero magistrale. Anche un brano rimasto taciuto da anni come “Romanticide” sembra acquistare un ascendente imprevisto.
La scaletta non da adito a troppi piagnistei in quanto a selezione, anche se poteva (doveva?) contare qualche brano in più, considerata la pessima “Imaginaerum” da amaro in bocca in chiusura, pezzo che in realtà è un’outro registrata dell’omonimo brano nell’omonimo album, in uscita con il vociare del pubblico in sottofondo. Ok, ci può stare, ma ben sei minuti di nulla che nulleggia (cit. Heidegger) sono decisamente troppi.

Difficile chiedere molto di più da un live album realizzato in queste condizioni, con un tour irto di dilemmi e difficoltà, registrato ad un festival di portata internazionale e con una lineup recentemente rinnovata (“per favore, impara la setlist in 48 ore!”) e confermata per il futuro. L’album non è perfetto come la pulizia vocale della Tarja de’ tempi d’oro, ma ha una carica mostruosa, come l’energia e la grinta di Floor in versione valchiria del metal in una perfetta sintesi tra le due epoche passate: il tiro giusto che questa band deve avere e preservare per continuare a godere del rispetto dei fan storici, oltre alle soddisfazioni degli incassi già ben documentati al botteghino. Ora basta live, polemiche e panettoni: la terza era è iniziata, attendiamo con enorme curiosità il prossimo album. Tuomas sembra un pozzo (ed un pendolo) inesauribile di idee e questa sembra essere la lineup giusta per innalzare di nuovo il nome dei Nightwish tra le band più acclamate dei nostri tempi. Speriamo di non sbagliarci.

Si ricorda al lettore, in chiusura di recensione, che la versione di “Showtime, Storytime” qui recensita (pervenuta in redazione ed ampiamente ascoltata dal sottoscritto) è il live album (doppio CD); consapevoli che in molti tra voi avranno propeso per collocare accuratamente sotto l’albero di Natale il più completo live DVD o (ancor meglio) la lussuriosa edizione doppio Blu-ray; edizioni per le quali, tra contenuti extra (di circa 120’), giochi pirotecnici e grande presenza scenica della band, potete tranquillamente aggiungere qualche punto alla valutazione finale.

Luca “Montsteen” Montini

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