Recensione: Siege

Di Roberto Gelmi - 3 Giugno 2025 - 12:00

Il secondo album degli Imaginaerium, pubblicato a inizio aprile, rappresenta un’evoluzione significativa per il progetto ora guidato dal duo Clive NolanLaura Piazzai, dopo la scomparsa del compianto Eric Bouillette (cui è dedicato il platter). Rispetto al debutto The Rise of Medici, questo secondo lavoro si distingue infatti per una maggiore coesione e un’identità sonora più definita.

Siege si presenta come un concept album tematico (ogni brano ha una didascalia introduttiva ad hoc) che esplora il tema dell’assedio, sia in senso militare, sia psicologico. Giusto per fare un paio d’esempi, l’opener racconta la resistenza della regina degli Iceni contro l’oppressione romana, mentre “When My Eyes Are Closed” il tema della salute mentale. Dal punto di vista musicale, Siege fonde elementi di rock progressivo, musica folk, heavy metal e orchestrazioni sinfoniche. La voce di Laura Piazzai si conferma una garanzia, gli arrangiamenti di Clive Nolan, autore anche dei testi, non sono da meno.

Il disco si apre con un lento crescendo che presenta gradualmente Boudicca, la regina degli Iceni (tribù dell’antica Britannia) di cui Tacito dà un ritratto notevole nei suoi Annales. “Cry Boudica!” è infatti un inno al valore dei vinti e nella storia antica abbondano figure simili, basti citare l’Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant di Calgaco, altra figura famosa, in questo caso dei caledoni, che smascherò l’imperialismo romano. L’opener del disco funziona alla grande nei suoi otto minuti, le atmosfere epiche e teatrali riescono a ricreare un’atmosfera cinematica ed epica (con tanto di nitriti di cavalli da guerra), grazie anche alla voce potente di Laura Piazzai, che controlla al meglio il suo timbro e a tratti ricorda l’Amanda Somerville mattatrice nella rock opera Aina. Da segnalare anche il magnifico assolo di chitarra elettrica a firma di Mirko Sangrigoli che impreziosisce la composizione.

The Final Redoubt” presenta una struttura più lineare e parla di uno scontro coloniale al tempo dell’impero inglese (la battaglia di Rorke’s Drift già trattata dai Sabaton?). Il tema dell’assedio resta centrale, le atmosfere continuano a trasudare epicità, specie nel ritornello che ripete un ipnotico “You shall not pass!”.

Sfogliando l’Earbook di Siege, dopo le pagine infuocate di “The Final Redoubt”, ci imbattiamo nell’artwork su toni freddi delle distese artiche presenti nei testi di “Footprints”. La nota esplicativa fa intendere che i testi parlano della costruzione di una fortezza contro un imminente assedio. L’arrangiamento orchestrale di Clive Nolan riesce a rendere a dovere la ricerca di isolamento e protezione, paradossalmente in un clima proibitivo come quello artico.

A seguire troviamo “All There is to See”, pezzo unplugged che declina il tema dell’assedio nell’idea di una “stanza tutta per sé” da cui ammirare il resto del mondo: “The world is too large to visualise at once / I need oceans, I need islands, I Need lines”. Laura Piazzai dona anima alle liriche, confermando una piena padronanza del suo timbro e regalando alcune note alte da brividi.

La cantante è d’applausi anche in “When My Eyes are Closed”, ballad che scava nel tema del nostro io profondo, il nucleo della nostra identità che dorme sepolto in noi e può incorrere nella perdizione della follia. Simone Milliava alla chitarra dimostra una classe cristallina e accompagnato da rintocchi di campana il brano si conclude in modo impeccabile.

Il brano in sesta posizione in scaletta è una piacevole sorpresa, potrebbe tranquillamente trovare spazio in un disco dei Nightwish vista la sua pregevole fattura. “To the Victor Go the Spoils” è una strumentale con venature folk, che presenta anche delle nacchere e la chitarra flamenca di Noa Drezner. Vuole descrivere il raduno di alcuni guerrieri che si spartiscono il bottino di guerra con in mente l’unico vero obiettivo per cui combattono, la libertà dall’oppressore.

Gli ultimi venti minuti dell’album non sono da meno in termini di qualità.

Anzitutto è la volta di “Never Burn The Cakes”, brano senza chitarra elettriche ispirato alla leggenda di re Alfredo. Contiene un testo ricco di saggezza (“You cannot be a hero without danger of defeat / You cannot have a sword without a blade”) ma anche ironia, cosa che dona eclettismo alla proposta musicale degli Imaginaerium e dimostra la loro maturità compositiva. “The Last Arrow” vede Clive Nolan alle prese con le parti vocali: il refrain funziona, le strofe potevano invece essere più incisive, ma è un peccato veniale. La penultima canzone in tracklist (e la più breve) è “Deep”, un notturno ammaliante che vuole essere un invito a un cupio dissolvi dal sapore panteista. Le danze si chiudono con “Blood Moon”, brano introdotto nella prima strofa dalla cupa voce teatrale di Nolan. Bisogna aspettare alcuni minuti prima che la battaglia tanto attesa si palesi in tutta la sua furia e Simone Milliava sfoderi un altro assolo di tutto rispetto e ricco di virtuosismo.

Questo il track by track.

Venendo al giudizio complessivo del disco, Siege è un album che senz’ombra di dubbio va promosso: è ben arrangiato, onesto e ispirato. Non si eccede in manierismi di alcun tipo, la produzione è bilanciata e i testi evitano ogni forma di banalità. La voce di Laura Piazzai è calda, ha grinta e riesce a coinvolgere l’ascoltatore dimostrandosi all’altezza della tematica “ossidionale” proposta dal concept.

Siege in definitiva è un’opera ambiziosa e ben realizzata che conferma la crescita artistica degli Imaginaerium. Consigliamo a chi volesse godersi appieno l’ascolto la versione Earbook, che include due CD e un documentario sul making of del disco. Il bonus disk è tutto da scoprire, offre versioni alternative e acustiche dei brani principali, ma anche chicche come le due versioni di “Dorian Gray” (brano anni Novanta della band Shadowland in cui milita Nolan).

 

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