Recensione: Slaughtering The Faithful

Di Matteo Bovio - 21 Agosto 2004 - 0:00
Slaughtering The Faithful
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Genere:
Anno: 2002
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70

Che gruppo questi Pessimist… Difficile non credere nella passione del loro operato, vista la costanza e l’impegno con cui da anni militano nella scena. La qualità dei loro dischi è sempre stata piuttosto buona, eppure la loro fama non ha mai raggiunto livelli elevati, lasciandoli un po’ indietro rispetto ai più noti acts d’oltreoceano. I motivi sono i più disparati, probabilmente anche il fatto di non aver mai tirato fuori dal cilindro un album nettamente sopra lo standard; ma vedendo girare nomi di calibro ben minore mi è difficile credere che non sia intervenuta anche un pizzico di immeritata sfortuna. Questo, che al momento è il loro ultimo capitolo, prosegue il discorso iniziato con i precedenti due album, rimanendo come qualità al di sotto del precedente Blood For The Gods, ma mostrando comunque un gruppo in forma.

Scordatevi la violenza senza controllo del Brutal di nuova generazione. La formula è ben più old style: l’estremismo sonoro viaggia di pari passo col nobile tentativo di impregnare le canzoni di una certa atmosfera insana. Tentativo parzialmente riuscito, realizzato grazie a un buon riffing: i fraseggi di chitarra, spesso armonizzati, assumono contorni ben delineati, che rendono chiare le strutture delle singole canzoni. Spesso vengono chiamati in causa i Deicide più tirati, ma in una sorta di compromesso con lo stile di Deeds Of Flesh e simili: la formula emerge chiaramente in “Embodiment To Suffer“, giusto per fare un esempio. Chiaro qui il tentativo di miscelare una ritmica esasperata a un riffing non monocorde.

Purtroppo, come in tutti gli episodi precedenti, la sezione ritmica a volte zoppica. Il drumming di John Griden non è certo quanto di più preciso ci sia in circolazione; se nel complesso il tutto suona molto umano, a volte diventa difficile passare sopra certi nei facendo finta di niente. Le carenze emergono col prolungarsi degli stacchi più veloci, così come in certi cambi di tempo, che, oltre a essere eseguiti in maniera approssimativa, potevano essere studiarati meglio. Nonostante l’esecuzione non chirurgica, si può comunque considerare la prova tecnica accettabile; tanto più che, come già detto, è anche sulla bontà delle composizioni che il gruppo punta.

E in questo devo dire che Slaughtering The Faithful è promosso. Bella la title-track: quando per un breve momento il ritmo incessante si concede una pausa e lascia spazio ai vagheggiamenti delle chitarre sembra di tornare ai primi anni ’90, in un’evocazione dei tempi migliori della scena Death Metal. Ottima anche “Stripped Of Immortality“, la tiratissima chiusura: una prova di come il Brutal si possa suonare anche col cuore, con la passione.

Un album schietto, non indispensabile ma di piacevolissimo ascolto. Se siete amanti del genere potete star sicuri che il suo destino non sarà attirare polvere sui vostri scaffali, perchè cd come questo non perdono di fascino con gli ascolti. Ovviamente è indicato solo a chi non cerchi a tutti i costi freschezza e originalità: sperimentazione e Pessimist sicuramente non sono sinonimi. Ma i fan delle vecchie sonorità possono star certi di aver trovato pane per i propri denti.
Matteo Bovio

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