Recensione: Solastalgia

Gli Heretoir sono una band di Augusta, Bavaria, fondata nel lontano 2006 con all’attivo tre dischi. Particolare la loro storia, che nasce come progetto one man band di Eklatanz, al secolo David Conrad; solo successivamente, attraverso alcuni cambi di line up, si è arrivati all’attuale formazione, con Matthias Settele (Nathanael), alla chitarra, basso, flauto e Nils Groth alla batteria, oltre al supporto di Kevin Storm e Stefan Dietz alle chitarre. Una corposa formazione per quello si promette di essere un progetto davvero ambizioso, con notevoli risvolti artistici.
Solastalgia è un neologismo che ci viene consegnato dal filosofo australiano Glenn Albrecth nel 2005, e sta ad indicare una forma di malessere esistenziale che si manifesta quando l’ambiente familiare di una persona viene alterato o distrutto da cambiamenti negativi, come disastri naturali o degrado ambientale. Un termine fresco, quindi, e strettamente connesso all’attualità: è, ormai, sotto gli occhi di tutti il cambiamento climatico, in particolare riferimento all’aumento delle temperature che ha posto la questione all’attenzione della classe politica, che ancora non ha saputo dare risposte adeguate e credibili, tanto a livello europeo quanto su scala mondiale. Un dato su tutti: a luglio, in Finlandia, per tre settimane di seguito si sono registrate temperature superiori ai 30°. Un tema sicuramente attuale, quindi, ma non inedito per i nostri lettori che probabilmente ricorderanno di aver letto qualcosa a riguardo già con Celestial Lands dei Wolvencrown.
A due anni di distanza dall’ottimo Nightsphere (2023), i tedeschi si riaffacciano con un’opera monumentale, che supera l’ora di ascolto, suddivisa in 11 brani. L’artwork di Solastalgia è opera di Rudolf Him e rappresenta a meglio il concetto espresso pocanzi: un uccello sporco di nero – un richiamo ai disastri ambientali causati dalle petroliere – dal cui becco spuntano le zampe di un cavallo. L’immagine ha toni scuri, e riporta con la mente ad uno stile prettamente realistico utilizzato negli anni ’90, tanto per immortalare le immagini delle guerre, quanto per i suddetti ecodisastri.
Partiamo subito col dire che gli Heretoir si presentano nella migliore versione di loro stessi con un album convincente sotto tutti i punti di vista e artisticamente maturo rispetto a quanto prodotto in precedenza: post black metal e post rock, si fondono all’unisono generando un’esperienza unica e immersiva, un lungo viaggio attraverso una perenne malinconia, dapprima sussurrata, per poi essere urlata fragorosamente, muovendosi tra i Leprous ed i Solstafir. Sono proprio le atmosfere create dalla band tedesca, il punto di forza del disco, intense nel loro dolore, che può essere una lacrima o una pugnalata: clean e growl si alternano sapientemente, già dal primo passaggio, The Ashen Falls, creando una cassa di risonanza emotiva ed empatica con l’ascoltatore. E non mancano neanche i momenti oscuri, come in Burial, in cui il nero prevale nella sua ruvidezza; oppure altri, come Rain, in cui si manifesta nelle note leggiadre e sussurrate di un piano.
Solastalgia è un disco ebbro di malinconia teatrale che disegna come protagonista, il “nero” di questo disco, inteso come il suo aspetto più oscuro, poetico e cupo, che può manifestarsi in modo delicato quanto brutale, perché, alla fine, gli estremi, e anche gli estremismi, tra loro non sono mai così diversi.