Recensione: Sorgir

Di Tiziano Marasco - 15 Ottobre 2018 - 0:00
Sorgir
Band: Skálmöld
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2018
Nazione:
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80

“È sempre bello imbattersi in un gruppo simpatia che suona di spalla”, ebbe a dirmi un amico quando vide gli Skálmöld durante la promozione di “”Vogguvisur Yggdrasils”s”. Non li aveva mai visti, e, al di là di una carriera quasi ventennale, in quel tour gli islandesi facevano effettivamente il gruppo spalla – ai Moonsorrow e scusate se è poco!

Ad ogni modo il termine “gruppo simpatia” era proprio azzeccato. I sei omoni infatti tirarono fuori un ottimo concerto, pieno dell’irruenza un po’ burina e un po’ scanzonata tipica del folk metal.

Ma “Vogguvisur Yggdrasils”, a ben ricordare, aveva segnato una sensibile evoluzione nel sound dei nostri, che, almeno su album, erano divenuti un gruppo un po’ meno simpatia e un po’ più “stratificato”. Oggi arriva il nuovo “Sorgir” a farci capire che quanto sentito pochi anni or sono non era un fuoco fatuo e che gli Skálmöld sembrano intenzionati a fare qualcosa di veramente ambizioso.

In effetti, il nuovo parto dei troll di vulcano riprende molto da vicino quanto sentito tre anni fa, ma lo perfeziona e lo raffina. Ci troviamo tutto. Furia primigenia e canzoni lunghe ricche di melodie variegate e pur sempre marziali. Cambi di ritmo e break introspettivi. E un’ottima padronanza delle capacità tecniche e compositive del gruppo.

Non si butta via niente e i 47 minuti scorrono d’un fiato.

Se già si parte benissimo con ‘Ljósið’, pezzo truce fatto di un riff in odore di black prima maniera, il classico vocione da frequentatore di bar concluso da un coro epico e incalzante, con ‘Sverðið’ ci troviamo dinnanzi ad una piccola gemma. Sei minuti trascinanti, stranamente malinconici, costruiti su un unico languido riff, salvo poi dipanarsi in un break strumentale fosco e vagamente progressivo. ‘Brúnin’ è ‘Gangari’ sono altri due pezzi belli incalzanti, ma è difficile stabilire se risultino più coinvolgenti la spavalda cafoneria ritmica della prima o i due maestosi riff della seconda.’Skotta’ è poi un altro affascinante pezzo trasformista che per un qualche strano motivo ha fatto tornare alla mente di chi scrive gli Enslaved di “Below the Lights” – sarà un riff che accelera vertiginosamente il ritmo come in ‘The dead Stare’. Ci somiglia, poco in realtà, ma se ti vengono in mente gli Enslaved è un buon segno.

E poi ci sono i due gioielli in coda, ‘Mori’ e ‘Mara’. Il primo è un concentrato spaventoso di epicità, con una tensione che sale incalzante ed è concluso con un coro maestoso e marziale, un’autentica esplosione di energia. Può sembrare una bestemmia ma ‘Mori’ non avrebbe sfigurato (e forse avrebbe migliorato, se messo al posto giusto) “Red for Fire” dei Solefald. Il secondo è un’encore di progressive-folk fatta e finita. Progressive folk? Esiste? Beh, forse a questo punto sì. Ad ogni modo, ai lati troviamo una strofa tipicamente Skálmöld, grezza e birraiola, con in mezzo un lungo e suggestivo intermezzo strumentale, con un guitar work tanto straordinario quanto semplice.  

“Sorgir”, dunque, è un album tremendamente bello e meravigliosamente costruito. Pieno di sfaccettature, di cambi di ritmo, d’atmosfera. Un’autentica amalgama di influenze che fanno da contorno al folk targato Skálmöld che abbiamo ormai da tempo imparato ad apprezzare e che fa sì che il grande caleidoscopio sonoro e compositivo di cui sopra non risulti pesante e mantenga un bel po’ di quella “simpatia” di cui in apertura. Per una proposta sonora che rimane, al solito, riconoscibilissima e davvero piacevole. Ci troviamo davanti ad un album tanto ambizioso quanto – finalmente – maturo in ogni suo aspetto. Un album che potrebbe fare di questi islandesi un nuovo nume tutelare del folk metal moderno, un nome che potrebbe essere accostato a quello dei Finntroll (coi quali gli Skálmöld non hanno nulla a che spartire) e pochi altri.

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