Recensione: Spectres From the Old World

Di Stefano Usardi - 26 Febbraio 2020 - 7:31
Spectres From the Old World
Genere: Black 
Anno: 2020
Nazione:
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80

Spectres From the Old World”, in uscita fra un paio di giorni, segna il ritorno sulle scene dei tedeschi Dark Fortress. La loro ultima uscita discografica risale al 2014, quel “Venereal Dawn” che aveva suscitato un giusto interesse tra i fan del black metal e a cui, almeno dal punto di vista concettuale, quest’ultimo capitolo della discografia dei bavaresi in parte si collega . Niente concept album, però, perlomeno a questo giro. Le dodici tracce di “Spectres From the Old World” si susseguono infatti senza un ordine cronologico e senza raccontare una storia unica, ma spaziano per abbracciare temi come la teoria delle stringhe, il declino dell’uomo, il ciclo vitale dell’universo e, in sostanza, concernenti l’effimera esistenza del genere umano se vista in relazione allo scorrere del tempo.

Musicalmente parlando, ammetto di essere stato piuttosto impreciso, prima: seppure sia innegabile che la materia alla base del lavoro dei nostri sia il black metal, è altrettanto vero che il quintetto tedesco si è sempre dimostrato abile nella manipolazione della suddetta materia. I Dark Fortress non sono certo degli sprovveduti, e anche con “Spectres From the Old World” manifestano la piena padronanza dei propri mezzi: ciò permette loro non solo di affiancare a brani più aggressivi e neri (come ad esempio le fulminanti “Coalescence” e “Pulling at Threads” o la rabbiosa “Pazuzu”) altri più scanditi (si vedano l’incombente ed intensissima “Isa” o la doomeggiante “Pali Aike”), ma anche di torcere il tono delle singole canzoni, venandole con intermezzi sognanti, repentini cambi atmosferici, note minacciose e sulfuree o arpeggi disincantati. Nell’ora scarsa di “Spectres From the Old World” si assiste all’avvicendarsi di emozioni contrastanti ed elaborate, declinate attraverso chitarre agguerrite, tastiere atmosferiche e maligne, una sezione ritmica arrembante ma al tempo stesso certosina e un cantato arcigno, affiancato sporadicamente da voci pulite. Il black dei nostri viene imbastardito ricorrendo a generi come thrash, heavy e dark per dar vita a un vortice sonoro multiforme, policromo, ma anche perfettamente bilanciato nel suo incedere turbolento e nichilista; un lavoro carico di suggestioni ma al tempo stesso organico, in cui ogni elemento è inserito in un contesto più ampio senza perdere di vista l’obiettivo finale. I Dark Fortress, infatti, rivelano la loro capacità di restare concentrati per tutta la durata dell’album evitando di cedere alle lusinghe di un caos musicale fine a se stesso che, in ultima analisi, avrebbe solo svilito l’opera di sedimentazione messa in atto con “Spectres From the Old World”. Nonostante il disco proceda rabbiosamente per tutta la sua durata, infatti, è raro che ci si abbandoni alla mera violenza sonora: una melodia di fondo è rintracciabile in quasi ogni traccia, ma anziché essere definita dall’opulenza sfacciata delle tastiere – che rinunciano alla luce della ribalta per mettersi a disposizione del gruppo, intessendo melodie inquiete restando il più delle volte in secondo piano – è cesellata da un meticoloso lavoro di chitarre dal retrogusto thrash. Questa sovrapposizione (oltre a riportarmi alla mente il bellissimo “At the Heart of Winter”) è a mio avviso alla base del suono violento ma tutt’altro che cacofonico di “Spectres From the Old World”, che prende il meglio dei due generi e lo amalgama – aggiungendo qua e là suggestioni e profumi che punteggiano il tutto con echi di solennità, pacata inquietudine e fredda maestà – in un ibrido graffiante e ferino, in cui ogni elemento è dosato alla perfezione per donare densità al risultato evitando, però, di renderlo dispersivo. Nonostante i 58 minuti di durata, infatti, “Spectres From the Old World” scorre in maniera impeccabile, senza impantanarsi in uno sterile cul de sac di mero autocompiacimento: merito di un lavoro di scrittura ragionato che riesce, con una paziente opera di stratificazione, a creare strutture sonore contemporaneamente complesse e compatte, portando avanti un discorso articolato ma senza prolissità assortite.

Qualora non si fosse capito, “Spectres From the Old World” è un lavoro che non solo farà la felicità dei fan dei Dark Fortress, ma che potrebbe far conoscere i bavaresi anche ad una più ampia cerchia di nuovi seguaci. Ottimo lavoro, signori.

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