Recensione: Surtur Rising

Di Daniele Balestrieri - 25 Marzo 2012 - 0:00
Surtur Rising
Band: Amon Amarth
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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81

Non sarà appena spremuto e l’etichetta non odorerà più di colla fresca, ma certe volte il vino deve stagionare un bel po’ prima di rilasciare la sua vera fragranza. Personalmente, non ho voluto recensire questo album appena uscito per un motivo colpevole, forse poco valido, ma che ha messo a dura prova la mia integrità di recensore: per mesi non sono riuscito a capire se quest’album fosse un vino d’annata o il primo chiodo sulla bara degli Amon Amarth.

Non sono solito iniziare le recensioni con rimuginamenti così personali, ma è passato quasi un anno e il mio fine è sempre stato quello di togliermi le scarpe e indossare quelle di un ascoltatore medio e in seconda battuta quelle del fanatico del genere. E ogni volta che toccavo la tastiera per tentare di recensire Surtr Rising, dopo mezz’ora spegnevo il computer senza aver scritto una parola. Alle spalle ho una piccola storia di recensioni traumatiche, che hanno richiesto mesi di elucubrazioni prima di essere stese: Empiricism dei Borknagar guadagna senza dubbio il podio, seguito a breve distanza da Nattens Madrigal degli Ulver e… proprio oggi, da Surtur Rising.
Perché? Surtur Rising non è un disco dalle molteplici sfaccettature e gli Amon Amarth non sono una band difficile da leggere né da interpretare. La loro attitudine prettamente “in your face” non è mai stata un mistero fin dai tempi di Sorrow Throughout the Nine Worlds, e Fate of the Norns a parte, non ha mai battuto sentieri molto diversi dai manowariani “siamo qui, chiudete le porte, sprangate le finestre e mettete in salvo la famiglia”. Promuovere questa dichiarazione d’intenti? Bocciarla? La mente vacilla.
Se da un lato comprendo il discorso di “minestra riscaldata” che i molti non-vikingofili potrebbero intavolare alla fine del primo ascolto di Surtur Rising, dall’altro non posso non riconoscere la genuinità di quest’ultima fatica degli Amon Amarth.
È innegabile che tutti gli ingredienti che hanno reso famosi gli album più celebrati della band svedese siano ritornati in un pentolone più capiente che mai. I sette album che precedono quest’ultimo lavoro fanno senz’altro sentire il proprio peso e trasmettono la propria eredità melodica: sono sempre loro, gli Amon Amarth di The Avenger e di Versus the World, ma con batteria più veloce, riffaggio più articolato, voce più aggressiva, melodie al fulmicotone, faster, stronger, louder.

I passi più celebrati della mitologia norrena risuonano assieme a rivisitazioni più dettagliate di alcuni personaggi ai quali viene affidato da Hegg in persona un volto più umano, ed è un piacere quasi morboso lasciarsi trascinare dal monologo del lupo Fenrir in “A Beast am I” o dai bisticci tra il fiero Töck e l’infingardo Loki in “Töck’s Taunt: Loke’s Treachery Part II“. Certo, sono storie che popolano la musica più pesante fin dagli anni ’80, ma i cui rimaneggiamenti offrono spunti nuovi e diversi anche nel nuovo millennio, dove tutto sa di già sentito: tralasciare i concetti espressi dalla band solo perché “tanto sono i manowar del death” significa, in questo caso più che mai, giudicare un libro dalla copertina: un atto poco intelligente. Tramite i concetti la musica assume un nuovo spessore, e l’ondeggiare della spada incendiaria di Surtur, i suoi tentativi di conquistare le cime dorate del valhalla e gli eterni contrasti con Frey che portano alla svenevole fine, dalle tinte persino dolci e mansuete, di “Doom over Dead Man“, non possono non lasciare il segno persino in chi si è spezzato il collo nell’headbanging più furioso.

Per scoprire cosa c’è dietro la copertina bisogna innanzitutto armarsi di consapevolezza: sul piatto degli Amon Amarth del 2011 non c’è la velleità di cambiare forma o di porsi al comando di una nuova corrente musicale. Gli Amon Amarth del 2011 fanno quello che hanno sempre fatto: gli Amon Amarth. Fuoco e fiamme in copertina, distruzione di massa, arrangiamenti tellurici e mal di testa finale. “Boys will be boys”, come si suol dire, ma sfogliando un libro che sembra già letto si scoprono anche dei capitoli nuovi, magari alla fine, magari a due passi dall’indice finale, che riescono in qualche modo a spazzare quel vago retrogusto di stantio perpetrato dalla prima metà dell’album.
Il malinconico legato tra “A Beast am I” e “Doom over Dead Man” crea una sorta di miniepos di 10 minuti assolutamente inedito nella carriera degli Amon Amarth, se si tralasciano i tentativi di concept poetico di Fate of the Norns (non a caso accantonati), e l’abbandono cosciente della superproduzione cristallina di Twilight of the Thunder God dona all’intero album una grezzezza e una confusione assolutamente trionfale: con i bassi più impastati e martellanti che mai, le atmosfere degli album precedenti si caricano di una furia e un’urgenza ritrovabili forse solo nel caotico The Crusher, l’unico album che possa definirsi grave ed adulto della quaterna pre-Vs The World. L’easy listening non è stato abbandonato: le melodie killer e ormai patentate degli Amon Amarth dipingono ancora una volta una midgard perennemente divorata dalle fiamme, in cui giganti demoniaci si muovono tra le urla degli innocenti con un solo scopo: la distruzione del mondo.

E alla fine, dopo tanto rimuginare sul perché e sul per come degli Amon Amarth, è proprio questa l’evidenza a cui bisogna arrendersi: la distruzione come unico e ultimo fine, esattamente come il gigante Surtr che zittirà le chiacchiere di dèi e uomini nel segno di un’apocalisse a cui nessuno può sottrarsi. E in fin dei conti gli Amon Amarth sono proprio questo: cinque piccoli Surtur, piromani patentati che hanno poco altro per la testa oltre alla distruzione del mondo.
Chi è cosciente di questo limite vivrà anni felici in compagnia di Surtur Rising. Chi vuole più di qualche contentino per giustificare l’evoluzione di una band, dovrà necessariamente rassegnarsi: la fiamma degli Amon Amarth può anche cambiare colore di tanto in tanto, ma brucia e probabilmente brucerà sempre allo stesso modo.

Daniele “Fenrir” Balestrieri

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TRACKLIST:

“War of the Gods” – 4:33
“Töck’s Taunt: Loke’s Treachery Part II” – 5:58
“Destroyer of the Universe” – 3:41
“Slaves of Fear” – 4:25
“Live Without Regrets” – 5:03
“The Last Stand of Frej” – 5:37
“For Victory or Death” – 4:30
“Wrath of the Norsemen” – 3:44
“A Beast Am I” – 5:14
“Doom Over Dead Man” – 5:55

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