Recensione: Thalassa

Di Roberto Castellucci - 6 Marzo 2021 - 8:30

Continuiamo la nostra esplorazione della fiorente scena Underground italiana esaminando la storia e la musica dei Delirant Chaotic Sound, band milanese attiva dal 2011. A partire dal 2015 il gruppo trova stabilità nella line-up e affina il suo stile, definito dalla band stessa come alternative metal. Dopo la pubblicazione del primo EP “The Ride of Thanatos”, datato 2016, i cinque giovani meneghini diffondono due singoli a cavallo tra il 2017 e il 2018, “Dogma” e “Alone In Vain”. Nel 2019 la band inizia a lavorare al materiale per il primo full length, pubblicando nel 2020 tre singoli: “Empty Shell”, “Steal My Sight Away” e “Annihilation”. I Delirant Chaotic Sound danno quindi alle stampe “Thálassa” il 21 novembre 2020, preparandoci fin dalla lettura del titolo ad un’esperienza di ascolto scorrevole e allo stesso tempo mutevole e ricca di stimoli. Non è un caso che il vocabolo “Thálassa”, oltre ad essere la traduzione in greco della parola mare, identifichi una divinità antecedente agli dèi dell’Olimpo, personificazione della ricchezza e della fertilità delle acque marine. Il disco infatti fa della varietà uno dei suoi maggiori punti di forza, prestandosi a diverse interpretazioni fin dalla copertina dell’album, un’illustrazione realizzata in pittura digitale dall’artista milanese Vanessa Fantinati. Vediamo persone smarrite negli abissi che cercano di tornare in superficie o creature marine che minacciano la fragile zattera dell’umanità? Oltre al mero aspetto estetico l’acqua, tema cruciale dell’album e presente in abbondanza nel videoclip del brano “Annihilation”, riveste un importante ruolo metaforico e diventa simbolo di profondità e volubilità dell’animo umano, come viene ben illustrato nell’intervista rilasciata a Truemetal.it dai Delirant Chaotic Sound.

Le tracce del disco sono efficacemente rappresentate dall’accostamento con la mutevolezza dell’acqua: lo stile dei Nostri è assai eterogeneo, in oscillazione tra un Death Metal di stampo classico e le sue recenti incarnazioni, più melodiche, groovy e tendenti al Progressive. L’inserimento di sonorità vicine al Black Metal inasprisce il gioco di contrasti su cui si basa il songwriting di “Thálassa”: i brani alternano parti melodiche e riflessive a ritmi dimezzati e veloci, che talvolta si trasformano in furibondi blast beat in grado di accontentare anche i palati più esigenti. L’opener Embrace This Relief” è un perfetto esempio della policromia che contraddistingue l’album: il brano emerge dagli abissi marini evocati in apertura con un incedere che starebbe benissimo in un nuovo singolo di Abbath, voce in scream compresa, per procedere con ritmi più cadenzati opportunamente arricchiti dalla voce femminile. Il gioco strumentale dei contrasti viene infatti rafforzato dalla presenza di due cantanti: la voce del versatile Marco Boccotti, capace di passare con facilità da cavernosi ruggiti in growl a picchi in scream di evidente ispirazione Black Metal, viene adeguatamente controbilanciata dalle leggiadre clean vocals affidate ad Alice Grupallo, efficaci anche quando accompagnano parti strumentali più incalzanti, come accade nell’iniziale up-tempo del brano Ropes I Hold”. Allo stesso modo, la vocalità estrema del singer si adatta bene al contesto anche quando viene inserita nell’intensa “Steal My Sight Away”, un’intrigante e originale power ballad che si colloca tra i punti più alti e rappresentativi dell’intero album. “Thálassa”, forte della sua varietà e di un ottimo lavoro in fase di produzione, è un lavoro che può dare soddisfazione a chiunque: persino il thrasher di lungo corso si troverà subito a suo agio con l’incipit del brano “Washed Ashore”, mentre chi non disdegna un po’ di buon Punk/Hardcore si accorgerà con piacere dell’evoluzione ritmica in d-beat del brano, che promette di causare seri danni a cose e persone nel momento in cui sarà proposto in sede live. Qualunque sia lo stile selezionato per garantire varietà ai brani del disco, “Thálassa” assume forme diverse e inaspettate mantenendo una coerenza di fondo invidiabile: sotto questo aspetto sembra quasi scaturire dalla riflessione alla base del romanzo La forma dell’acqua, scritto dal compianto Andrea Camilleri nel “lontano” 1994. In un dialogo presente nel libro si discute come l’acqua non abbia una forma predefinita: sono gli uomini a plasmarla, facendole prendere la forma del recipiente che la contiene. Analogamente, lo stile ben definito e riconoscibile dei Delirant Chaotic Sound si adatta di volta in volta ai generi musicali scelti come ispirazione per ogni brano, raggiungendo un risultato finale piacevolmente innovativo. Fortunatamente la band è capace di spingersi in avanti nelle sperimentazioni quel tanto che basta per non scadere nell’autoreferenzialità tipica di certe produzioni Progressive, garantendo agli ascoltatori una certa facilità di appropriazione delle linee melodiche: non vediamo l’ora di poter cantare a squarciagola le canzoni di “Thálassa” sotto a un palco…nella speranza che ciò possa accadere presto, auguro un enorme in bocca al lupo ai Delirant Chaotic Sound e buon ascolto a tutti i lettori.

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