Recensione: The Audient Void
L’avventura dei Dysthymia ha inizio nel 2000 e vede coinvolti:
-Giacomo Bortone – voce
-Stefano Bargigli – chitarre
-Filippo Occhipinti – chitarre
-Beppe Bracchi – batteria
-Marco Bruni – basso
Ascoltando questo “The Audient Void”, primo parto della band sulla lunga distanza, salta immediatamente all’orecchio una professionalità e una maturità strabilianti, tanto da farci pensare di essere al cospetto di un gruppo con svariate uscite alle spalle.
Ma facciamo un passo indietro. Chi sono i Dysthymia? Il combo nasce a Siena con l’intento di dare vita a un technical melodic death metal moderno, con influenze provenienti sia dalla scena svedese, sia da quella americana.
“The Audient Void” è un lavoro che convince da subito grazie ad un songwriting che, pur con i suoi difetti, sa coinvolgere anche gli ascoltatori più smaliziati.
Da notare in primis la tecnica esecutiva dei cinque musicisti, ognuno estremamente preparato e in grado di mettere in mostra le proprie doti con classe e gusto. Le sei corde tessono melodie eleganti e raffinate, proponendo al contempo un riffing granitico e compatto, capace di risultare aggressivo al punto giusto. Gli assoli non difettano anch’essi di equilibrio e fascino, essendo per di più sempre ben dosati e mai inutilmente arzigogolati.
La coppia Bracchi/Bruni svolge il proprio compito con precisione certosina, disegnando ritmiche in continuo cambiamento. I due si dimostrano abili altresì a conferire la dinamicità e potenza a ciascuna canzone. Non vengono dimenticati i momenti tirati e impetuosi, così come sono presenti dei passaggi più raffinati e artefatti.
Vero valore aggiunto è Giacomo al microfono, bravo a passare da tonalità abrasive ad altre più gutturali, con una facilità disarmante. Il ragazzo merita per di più un plauso per la passionalità e la cattiveria che riesce a comunicare durante tutta l’opera.
Musicalmente, ricollegandoci al discorso fatto in precedenza, siamo davanti a un album che da un lato si ritrova fortemente influenzato dalla scuola melodica nord europea (i Dark Tranquillity più recenti sono quelli che, mi è parso, siano stati di maggiore ispirazione nelle aperture melodiche dei senesi), mentre dall’altro attinge da quella tradizione technical che ha reso grandi Cynic (la parte strumentale di “Sink Your Illusions” ne è esempio lampante) e Death. Quest’ultima caratterista è però maggiormente riscontrabile solo di rado nelle strutture di taluni pezzi che compongono il disco.
Volendo poi giudicare il prodotto nella sua totalità, un’ulteriore nota di lode andrebbe spesa per le liriche dei brani. I testi trattano vari argomenti, passando dai problemi personali che tutti affrontano nella propria vita, come nell’introduttiva “Slow Movements” o ancora in “Damaged Essence”, arrivando a riflessioni sul peccato e sulla malinconia.
Dovendo citare qualche episodio cardine, è impossibile non nominare, su tutte, la conclusiva e bellissima “Certain Uncertainties”, che da sola risulta esplicativa dell’universo Dysthymia. Riff mai banali, rallentamenti alternati a vertiginose accelerazioni, melodie gradevoli (e qui la presenza di un certo Oleg Smirnoff aiuta davvero molto) e stacchi acustici, rendono tale canzone la migliore dell’intero platter.
Naturalmente ad essa si affiancano altri pezzi: “Slow Movements” con le sue atmosfere introduttive che richiamano i migliori Opeth (citati pure in “Sensation Seeker”), piuttosto che l’aggressiva e affascinante “Aching Pleasure”, riescono a trascinare l’audience in un turbine emotivo di sicuro impatto.
Allo stesso modo non mancano, purtroppo, dei momenti meno riusciti. Talvolta si devono affrontare dei passaggi eccessivamente macchinosi ed effettivamente poco fluidi, che non facilitano l’assimilazione della proposta della formazione italiana. Alcune track risultano confusionarie (su tutte “Sink Your Illusion”) e non coese.
Tutto ciò è comunque ammissibile, dal momento che, va ricordato, questa è la prima uscita ufficiale del quintetto.
Nulla da eccepire per quanto concerne la qualità audio, pressoché perfetta. Ciò è merito di un sapiente lavoro di mixing (svolto negli Hertz studio, nel quale hanno realizzato il mix importanti realtà quali Vader e Decapitated) e di registrazione.
Siamo pertanto alle conclusioni: “The Audient Void” è un debutto di buona levatura, in grado di competere nell’affollato panorama metal, grazie alla maturità dimostrata dai ragazzi. Fiduciosi che le poche e piccole imperfezioni vengano al più presto corrette, per ora non ci rimane che complimentarci con i Dysthymia e sperare che continuino per la strada battuta.
Emanuele Calderone
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Tracklist:
01- Slow Movements
02- The Sin Eater
03- Damaged Essence
04- Sink You Illusions
05- Ode on Melancholy
06- Aching Pleasure
07- From Pain I Arise
08- Sensation Seeker
09- Certain Uncertainties