Recensione: The Bestiary
Immaginatevi una avvenente guerriera amazzone (o schield maiden, visto che adesso va più di moda) che, incurante del clima invernale che la circonda, se ne sta in mezzo alla neve con addosso solamente una specie di bikini corazzato. E mentre alle sue spalle uno druido, o uno stregone, le indica la via, lei parte all’ avventura in sella ad un unicorno. Non è un’allucinazione causata dell’ingerimento di ostriche avariate, ma la copertina dal gusto volutamente kitsch con cui ci viene presentato “The Bestiary“, secondo album dei Castle Rat, band hard rock/doom attiva dal 2019 che trova collocamento nel ricco filone dell’epic/fantasy. Alla guida dei Castle Rat troviamo la cantante e chitarrista Riley Pinkerton, ovvero la guerriera ritratta in copertina, che scopriamo presentarsi con il moniker di The Rat Queen. La formazione viene poi completata da The Count (Franco Vittore) alla chitarra, The Plague Doctor (Charley Ruddell) al basso e infine The Druid (Joshua Strmic) alla batteria.
Questa congrega di stregoni e fattucchiere non proviene dalla brughiera inglese, e nemmeno dalle nebbiose foreste di Avalon, ma dal Nuovo Mondo, New York per la precisione, dove hanno sede anche Shadowland e Tower, altre due band della corrente “cappa e spada” distintesi negli ultimi anni
Ad un anno dal lavoro di debutto “Into The Realm“, con il quale hanno totalizzato oltre un milione di streaming su Spotify, i Castle Rat tornano ora con il nuovo album “The Bestiary“, una specie di concept dedicato a quegli animali, reali ed immaginari, ricorrenti nella tradizione mistica. Un lavoro che trae ispirazione da quei testi medievali in cui si parlava di creature come lupi, serpenti, unicorni e draghi, attribuendone significati allegorici e spirituali.
Dopo la strumentale “Phoenix I“, che funge da intro, passiamo a “Wolf I: Tooth & Blade“, un classico doom con chitarre zanzorose e ritmica martellante dal sapore stoner. Lo stile della band statunitense si dimostra subito molto attaccato alla tradizione, facendo ampio ricorso a suoni cupi e tempi marziali. I Castle Rat fanno tesoro degli insegnamenti di band quali Pentagram e Saint Vitus, continuandone il discorso musicale in modo fedele e devoto.
L’epica “Wizard: Crystal Heart” e la polverosa “Dragon: Lord of the Sky” hanno il loro punto di forza nei vibranti riff di chitarra ad opera di Vittore, che assieme alle muscolose linee di basso, vanno ad imbastire un monolitico muro sonoro. Una batteria che pare un tamburo da guerra annuncia “Siren: The Pull of Promise“, un pezzo schiacciasassi dove ogni riferimento ai Black Sabbath non è per niente casuale. La produzione è molto minimale e volutamente un po’ imperfetta, in modo da dare quel gusto di antico al disco. Ritmiche ossessive e chitarre pesanti sono ancora protagoniste, come su “Serpent“, un’epica cavalcata con bei segmenti ritmici ed una voce dai tratti seducenti. “Unicorn: Carnage and Ice” inizia come un inquietante nenia funebre che va poi a confluire in una robusta marcia metallica, dove la voce di Riley Pinkerton crea una suggestiva atmosfera surreale.
L’interpretazione canora della Pinkerton si distingue per non essere mai particolarmente aggressiva, al contrario, tende ad avere uno stampo soave ed elegiaco, molto in sintonia con quelle ambientazioni fantastiche che vengono narrate nei testi delle canzoni.
La struttura compositiva dei brani è abbastanza semplice ed essenziale, ma non per questo meno efficace. Le tracce sono spesso costruite con pochi riff, ma riescono ad essere comunque molto valide, grazie anche alla saggia decisione della band di non esagerare mai con il minutaggio delle canzoni.
Non mancano un paio di episodi più rilassati e sognanti, come la ballata psichedelica “Crystal Cave“, oppure “Wolf II: Celestial Beast“, un pezzo ipnotico che ruota attorno alla sola voce accompagnata dalla chitarra acustica. L’onirica “Summoning Spell” emana un forte alone mistico tanto da far sembrare di trovarsi sospesi in una dimensione fuori dalla realtà.
I Castle Rat fanno nuovamente vibrare gli amplificatori con “Sun Song: Behold the Flame“, un martellante doom con la chitarra poderosa che si prende prepotentemente la scena fino alla conclusione del brano. Il disco sfuma poi sulle note vellutate di “Phoenix II“, con cui si conclude questo viaggio mistico nel bestiario magico dei Castle Rat.
Una band indubbiamente dedita alla riscoperta delle sonorità tradizionali, i Castle Rat, che con “The Bestiary” mettono in opera una buona prova di hard rock d’annata. Un lavoro non interessato a cercare soluzioni nuove ma bensì a riscoprire quelle più datate. Un disco dedicato ad un pubblico amante delle sonorità old school che, a giudicare dai responsi del lavoro d’esordio, non pare essere poi così esiguo, e che rimarrà facilmente soddisfatto anche da questo secondo capitolo dei Castle Rat.
