Recensione: The Deceivers

Di Gianluca Fontanesi - 3 Maggio 2024 - 0:26
The Deceivers
Band: Dååth
Etichetta: Metal Blade
Genere: Death 
Anno: 2024
Nazione:
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67

Sono passati ben quattordici anni dall’ultima prova in studio dei Dååth; un lasso di tempo lunghissimo che ha visto soprattutto il metal estremo evolversi e progredire in maniera vertiginosa. Saranno riusciti i nostri a rimanere al passo coi tempi? Non molto, e il perché è presto detto.

Il disco si apre in maniera mozzafiato con No Rest No End, che è un vero e proprio missile terra aria in grado di strappare all’ascoltatore ben più di un “Wow”: ritmiche forsennate, orchestrazioni centrate, una cattiveria inaudita a livello vocale e un groove pazzesco non fanno prigionieri. Il sound si ibrida centralmente col progressive metal e non ce n’è davvero per nessuno. Allora? Cos’è che è andato storto?

The Deceivers purtroppo è uno di quei dischi che sbalordisce al primo brano, stupisce al secondo, è piacevole al terzo e annoia già al quarto. Complice una ripetizione strutturale che rende prevedibile ogni traccia, una fase solistica che alla lunga rende sempre facile sapere in che momento entrerà e un songwriting che non gode di altissima ispirazione, l’album si assesta sempre su un livello strumentale ed esecutivo piuttosto alto ma, tranne sporadici momenti e una opener davvero pazzesca, non offre molti altri sussulti in grado di diventare memorabile o comunque di essere più longevo di qualche settimana di ascolti.

Le orchestrazioni ci sono e non ci sono: a volte sono opulente, altre spariscono completamente e non si capisce se la band voglia puntarci o meno. Sembrano sempre un contorno mai sfruttato come dovrebbe, Septicflesh e Fleshgod Apocalypse sono su un altro pianeta in questo senso ed è un peccato. La nuovissima sezione ritmica vede un Krimh offrire una buona prestazione dietro alle pelli, con un miglioramento notevole rispetto alle prestazioni sentite sui dischi dei Septicflesh; purtroppo però non basta e l’ascolto viaggia sempre tra alti e bassi, sparando a salve la maggior parte delle cartucce. La produzione ovviamente è quella delle grande occasioni e non perde per strada nemmeno una nota; il bilanciamento tra gli strumenti e la voce è perfetto e, alla fine della fiera, ciò che resta è solo un grande rammarico.

La montagna quindi partorisce un topolino e una mezza delusione che non ci saremmo mai aspettati da gente di questa caratura; The Deceivers è un disco strumentalmente complesso, virtuoso, ma che sul più bello si va ad incartare nella sua stessa scrittura non riuscendo mai a travalicarne i confini.

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