Recensione: The Deep & the Dark

Di Luca Montini - 16 Aprile 2018 - 0:00
The Deep & the Dark
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2018
Nazione:
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75

Nonostante l’ammutinamento del 6 dicembre 2013, che vide la lineup degli austriaci Visions of Atlantis ridursi al solo fondatore, il batterista Thomas Caser, la band solca ancora i sette mari. La ricerca della perduta terra di Atlantide continua ad animare la ciurma, che si presenta con il nuovo disco “The Deep & the Dark”, preceduto da un EP contenente vecchi brani ri-registrati dal titolo Old Routes – New Waters” (2016). Un nuovo equipaggio coeso e forte, armato fino ai denti nella flotta del metal sinfonico. Le due voci assoldate per l’avventura, una femminile ed una maschile, sono dell’astro nascente Clémentine Delauney (in passato in forze a Serenity e Whyzdom ed attualmente nelle Exit Eden, anche ospite dello Zio Kai Hansen in Hansen & Friends) e Siegfried Samer dei Dragony. Completano la lineup Mike Koren al basso, Werner Fiedler alla chitarra e Chris Kamper alle tastiere. Prevedibile come una mappa del tesoro in una storia di pirati, è proprio la Delauney il principale motivo d’interesse per questo nuovo disco, già presente sulla scena da qualche tempo ma finalmente messa alla prova in una band attiva da diciotto anni e con dei nuovi compagni di viaggio pronti a salpare.   
 

When I dare close my eyes
I feel the vibrant morning rise
On the shores of that dear and secret island…

 

L’avventura è garantita: i filibustieri di stevensoniana memoria vengono accolti dalla giovane soprano con orchestrazioni affascinanti ed eteree, con brani dalla struttura molto semplice che non superano mai le Colonne d’Ercole dei sei minuti. Molto raffinato il songwriting per quanto derivativo, peccato per le prime note dell’opener eponima The Deep & the Dark” che rimandano immediatamente (e pure troppo) ai Nightwish, fonte d’ispirazione principale di questi Visions of Atlantis.
Segue il singolo “Return to Lemuria”, altra terra mitica sprofondata come l’Atlantide narrata nel Timeo di Platone. Un ritorno dolce e magico che accompagna l’incauto viaggiatore, con una melodia di tastiera anticipata da un carillon, in un luogo perduto che ancora affascina ed irretisce le fantasie degli appassionati dell’occulto. Il duetto è qui vincente, con la stereotipata ma sempre gradita doppia cassa sul ritornello, il botta e risposta tra tastiera e chitarra, in un brano romantico al punto giusto e melanconico sul finale.
Ancora tanta qualità e dobloni in abbondanza nella folkeggiante “Ritual Night”, seguita dalla più tirata “Silent Mutiny”. Dispiace vedere il buon Samer lasciato troppo sovente in seconda linea, che pur ritagliandosi le sue strofe nei ritornelli da copione cede sempre il passo alla bella Delauney
Alla più lunga ed articolata “The Book of Nature” segue la ballad “The Last Home”, con Clémentine sugli scudi protagonista di un’ottima performance anche sul lento, replicata poi in chiusura con “Prayer to the Lost”, stavolta in un crescendo che coinvolge anche il resto della band.
Citiamo anche “The Grand Illusion” che fa il verso agli Xandria dell’ex-Dianne Van Giersbergen, “Dead Reckoning” che rimanda alle atmosfere tastierose di “Elvenpath” e la più moderna “Words of War”.

I Visions of Atlantis del comandante Thomas Caser, della primo ufficiale Clémentine Delauney e del nostromo Siegfried Samer continuano la ricerca del continente perduto, forti di una lineup apparentemente coesa e capace di affrontare le battaglie navali e le tempeste che ostacoleranno il periglioso viaggio di rilancio per la band. Pur senza presentare momenti particolarmente originali e senza spingere troppo sulla pesantezza, preferendo la melodia alla potenza, “The Deep & the Dark” è un varo convincente che non mancherà di affascinare gli amanti del genere sinfonico. Mentre l’alba si leva su un mare calmo e cristallino, i Visions of Atlantis veleggiano verso una nuova avventura.
 

Luca “Montsteen” Montini
 

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