Recensione: The Memory of a Madman
I Closure nascono cinque anni fa come progetto musicale tutto strumentale, e si manifestano per la prima volta su platter due anni dopo con il concept Striving From Knowledge.
Il gruppo espone la propria musica in svariati festival e matura, a mano a mano, l’idea di raccontare la storia di un personaggio (un individuo rimpinzato di psicofarmaci e sottoposto ad elettroshock), a cui viene dato il nome di Mark Mullighan.
Dopo Live at Festoria 2012, EP registrato all’omonimo festival di Saronno, i Closure, i quali nel frattempo hanno acquisito l’apporto di un cantante, si mettono al lavoro per un nuovo album, che vede la luce quest’anno con il titolo “The Memory of a Madman”.
La band, che si propone quale “mezzo psichedelico attraverso il quale il Signor Mullighan parla e prende vita”, apre il suo viaggio musicale – alquanto tenebroso – con due brani strumentali: il primo, November 13th 1956, esordisce con pianoforte e batteria elettronica, lasciando entrare a mano a mano altri strumenti, e delineando un mood comunque elettronico e ambient; il secondo, D. D. D., vede invece il basso e le tastiere sugli scudi per un brano atmosferico di prog strumentale in cui s’affaccia l’apporto della chitarra elettrica
Il canto sbuca per la prima volta nella seguente Protected by Trees. La canzone si apre come ballata acustica malinconica ed oscura, in cui la voce e la chitarra acustica risuonano su uno sfondo lontano di pianoforte e tastiere, per poi trasfigurarsi in un prog-metal aggressivo dagli echi Porcupine Tree ed in cui la sei-corde elettrica è posta in bella vista.
Kraken, poi, alterna un progressive psichedelico, fangoso e lento con sprazzi rarefatti e sospesi, mettendo in luce verso il finale una chitarra dal mood “gilmouriano”.
No One Will Forget, altresì, è un brano elettrico e nervoso in cui chitarra e basso si pongono in particolare evidenza, e presenta spunti arabeggianti ed una coda finale rarefatta che richiama alla memoria certi Fates Warning.
La successiva Murmur è una suggestiva ed atmosferica ballata memore sia delle opere dello Steven Wilson solista che dei più recenti Marillion, mentre L.I.E.S., pur continuando a perpetrare atmosfere oscure e lente, si pone in chiave maggiormente elettrica.
Dreams, di contro, porta l’ascoltatore ad ammirare paesaggi sonori differenti: si tratta, difatti, di una traccia sinuosa e guidata da un quattro-corde groovy e jazz, e si concede sprazzi rarefatti ed inserti di tastiera e di piano gustosi e vintage.
A questo punto The Memory of a Madman si chiude con un trittico quieto che inizia con About Your Idea (breve ballata pianistica dagli sbocchi solenni), prosegue con Like a Butterfly (frammento acustico tutto voce e chitarra) e congeda l’ascoltatore con la title-track The Memory of a Madman (brano rarefatto ed articolato con rimandi di slow elettroacustico, aree pianistiche ed intrecci prog tra asce e tati d’avorio).
L’album dei Closure, dunque, è un’opera ben costruite e di fattura ed ispirazione pregiate, che risulta un poco monocorde all’inizio, ma che progressivamente coinvolge l’ascoltatore man mano che i brani si susseguono, avviluppandolo nelle sue atmosfere di claustrofobico prog-rock con privo di influenze alternative.
Attendiamo, dunque, con interesse i successivi sviluppi della carriera della band.
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