Recensione: The Purple Album

Di Fabio Vellata - 16 Maggio 2015 - 14:13
The Purple Album
Band: Whitesnake
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2015
Nazione:
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77

Da viscerali amanti degli ‘Snakes…era quello che ci attendevamo?
Ne sentivamo il bisogno?
Era qualcosa che, da qualche parte, disperso tra le emozioni della memoria, avremmo mai potuto desiderare di ascoltare?

Ma diciamoci la verità in modo schietto e leale. No.
Siamo sinceri: dopo quattro-dico-quattro album dal vivo in cui sentir riproposti in ogni possibile versione i vecchi ed immortali classici, dalla brigata di Zio Dave “mr.Whitesnake” Coverdale non volevamo altro che musica nuova. Un cd con roba inedita…mica tanto…
Magari non un capolavoro – quelli ti escono due o tre volte in carriera, e lo Zio Dave ne ha pure qualcuno in più in catalogo – ma giusto un disco con un po’ di canzoni nuove da canticchiare col sorriso sulle labbra, memori dell’illustre passato e vicine allo stile di sempre.
Una “pretesa” onesta da fan di vecchia data che, almeno una volta ogni quattro / cinque anni, avrebbero piacere di apprezzare qualche pezzo nuovo dalla propria band preferita che, nel frattempo, non ha perso l’abitudine di cambiare elementi e rivoluzionare la formazione (siamo alla Mark XXI…!).

E invece “ciccia”.
Tocca beccarsi il “Purple Album”. Che null’altro è che una sorta di “greatest hits” rifatto e modernizzato, dell’epoca in cui Coverdale militava proprio nei Deep Purple.
Epoca storica e ricca di qualità, nulla da dire: album come “Burn”, “Strombringer” e “Come Taste The Band” sono eccellenze sopraffine che ogni amante del rock duro dovrebbe imparare a memoria e tramandare alle generazioni future.
Però, suvvia, l’idea odora un pizzico di forzatura o, se vogliamo, di mezzo elegante per rimanere sul mercato, pur privi di grande idee o senza voglia di strafare andando alla ricerca di composizioni nuove. Di altri live non se ne poteva più, del resto…

Vogliamo tuttavia – come sempre – essere un po’ indulgenti con il nostro beniamino: forse i tempi per un nuovo disco non erano ancora maturi, dati i recenti innesti di Joel Hoekstra (talentuosissimo chitarrista ex Nightranger) e Michael Devin, e l’amalgama era ancora da reperire nel suo complesso.
Ed allora, un cd di cover può pure andar bene per un adeguato “rodaggio”: “vediamo come se la cavano i nuovi con materiale storico e sentiamo come regge la voce di quel vecchio marpione vestito di bianco, oggetto, negli ultimi anni, di feroci critiche recate da corde vocali non proprio “scintillanti” come ricordavamo…

Cosa dire quindi? Forse che pezzi come “Burn”, “Lady Double Dealer”, ”Stormbringer”, “You Fool No One”, “You Keep On Moving” e “Gypsy” siano discutibili o meritevoli di appunti? Impossibile.
Sottolineare una qualche imperfezione nella prova dei singoli? Fantascienza: il complesso si muove con perfezione svizzera, evidenziando già sin da ora come Hoekstra sia innesto perfetto in organico, degno, per sound e feeling, di un mostro qual’era un tale John Sykes.

Oppure potremmo biasimare in qualche modo l’interpretazione che la band ha fornito di brani leggendari ed iperconsolidati? Macché: ascoltare la versione rocciosa e modernizzata di “You Fool No One / Itchy Fingers”, “Gypsy”, “Might Just Take Your Life” e “You Keep On Movin’” (da brividi!) è, senza incertezze, uno spasso per le orecchie. Vitamine e testosterone che schizzano ovunque, energia e suoni pieni, come gli ‘Snakes predicano, ammantati da una produzione profonda e de luxe.

Persino l’ugola dello “Zio” pare, di tanto in tanto, rinfrancata. Ovvio, in studio c’è possibilità di accomodare e raffinare, tuttavia l’usura dovuta all’età ed agli strapazzi di una carriera da “urlatore” è smorzata, resa per lo più innocua (qualche cosa in “Burn” e “Stormbringer” andava però rivisto), a vantaggio di una forza espressiva e di una classe nell’interpretare che, Coverdale possederà sempre e comunque – al di là di ogni critica – probabilmente anche da afono.

Insomma, pezzi straordinari, musicisti eccellenti, produzione di livello e qualche mezzuccio per aggiustare dove serve: la logica era ferrea, non si poteva sbagliare ed andare a vuoto.
Ed ecco che, da antico ed adorabile “filibustiere”, lo zio Dave ci ha fregati anche questa volta.
Siamo partiti con l’idea di stroncare un’operazione che appariva sin dall’inizio superflua e senza significato: ce ne torniamo con le pive nel sacco, non senza però, un pizzico di soddisfazione nel cuore.

Il “Purple Album” sarà una collezione di cover di pezzi già arcinoti, nulla di nuovo, nulla di davvero necessario, niente che i fan desiderassero davvero…ma per tutti i santi del Rock n’Roll, se suona…!

Whitesnake logo

 

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