Recensione: The Shining Pentagram

Di Giuseppe Casafina - 16 Agosto 2016 - 19:00
The Shining Pentagram
Band: Necrodeath
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 1985
Nazione:
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100

PREFAZIONE

Ebbene, a volta nella vita ci sono ostacoli che bisogna saper affrontare, prove talmente ardue in grado da far impallidire anche il più smaliziato in qualunque competenza esistente ed anche solo immaginabile: nel mio caso, parlando di recensioni, una delle mie più grandi paura é sempre stata quella, appunto, di dovermi trovare un giorno a recensire “The Shining Pentagram” dei Necrodeath.

Ebbene, ora mi ritrovo a farlo e per di più sotto la più imparziale decisione di me medesimo!

Inutile dire che nei primi attimi subito dopo la decisione la mia mente continuava a forgiarmi domande di questo tipo, a ripetizione, una dietro l’altra:

 

Ma perché lo stai facendo? Che cosa c**z’ ti é salito in testa? Ma chi o cosa ti credi di essere?

 

Forse la mia coscienza non ha tutti i torti e probabilmente, un po’ di timore mi si scuote ancora addosso, proprio mentre scrivo queste parole, dato che temo di non saper descrivere la siffatta storicità di tali momenti musicali e “The Shining Pentagram” é tra questi, ma nulla mi ferma: ci proverò lo stesso quindi a noi due, o’ mia coscienza!

 

TROPPA STORIA PER POTER ESSER SOLO RACCONTATA

 

Ed ecco che l’istinto mi viene in aiuto e mai titolo fu più azzeccato.

Questo demo infatti, autoprodotto nel seminale 1985 (anno di punta dell’allora nascente metal estremo), rappresenta uno dei punti più alti in assoluto mai raggiunti dal metal italiano e, non dimentichiamocelo, dal metal mondiale: troppe infatti, sono le band da tutto il Mondo che devono qualcosa a questo primo vagito dall’impatto ineguagliabile, così come troppi sono i musicisti che tutt’oggi, nonostante 31 primavere alle spalle, continuano ad immedesimarsi nelle funamboliche gesta demoniache compiute al tempo da codesti quattro cavalieri dell’apocalisse che corrispondono ai nomi di Peso, Ingo, Claudio e Paolo, delle gesta di una tale ferocia da rappresentare ed allo stesso tempo creare, un nuovo punto assoluto di malvagità in musica.

Il Male insomma, qui dominava incontrastato, e per farlo usava riff taglienti come rasoi, parti vocali da far sputare il sangue, testi di innata ferocia e malvagità, una sezione ritmica terremotante: il tutto rinchiuso all’interno di un ‘misero’ nastro, vale a dire quello che all’epoca rappresentava la famosa demotape, quella ‘cassettina’ (nome in gergo anni ’80 delle incisioni su nastro che poi diede il via a derive ‘piratesche’, ma queste sono altre storie leggendarie) che girava tra etichette, appassionati ed addetti ai lavori e che fruttò alla band un contratto con la Nightmare Productions, per l’incisione dell’altrettanto storico disco di debutto “Into The Macabre”, uscito solo due anni più tardi.

Ed ora la mia coscienza mi sussurra cose come questa….

 

Ma cosa diamine descrivi a fare cose ed avvenimenti di cui te al periodo non ne potevi sapere nulla in quanto eri appena nato?

 

Ma, cara la mia coscienza, sappi che sebbene il sottoscritto sia classe ’85 (esattamente come questo album) certi fenomeni sono esistiti fino ai primi anni 2000: le ‘cassettine’ (spesso autoprodotte in casa su impianti stereo osceni) scambiate tra i compagni di scuola, il proliferare delle demotape spedite alle etichette (avendo avuto un cugino allora militante in una seminale band tarantina che ora non cito, si usava ancora registrare su nastro da soli o in studio perché il Compact Disc e registrazioni digitali annesse erano cose troppo costose e non alla portata di tutti come oggi, solo 16 anni più tardi) e tanto altro….

Ma adesso BASTA parlare di me, che non interessa a nessuno (nemmeno a me per dire, sarà la tensione forse) e torniamo piuttosto a parlare dei Necrodeath.

 

FORZE FEDELI AL SERVIZIO DEL MALE

 

Tali erano i primi Necrodeath, tra i padri fondatori, assieme a Venom, Hellhammer/Celtic Frost, primi Bathory e tutta la triade del thrash tedesco (senza dimenticare i brasiliani Sarcófago) del nascente movimento noto come Black Metal.

Nulla a che vedere con fiordi norvegesi, chiese bruciate, circoli privati e face painting ovviamente, e nemmeno con l’omonimo disco dei Venom (da cui il movimento prese il nome), quanto piuttosto quell’area del metal più primordiale ed ‘ottantiana’ pesantemente contaminata dall’ossessione per la morte, per il macabro e il satanico (spesso satanismo spazzatura, ma altrettanto spesso roba molto più ricercata e seriosa), quella corrente in cui per molti versi ne facevano parte anche i Mercyful Fate, altra band in grado di esprimere un certo gusto sopraffino per tali tematiche.

Ma le bestie tricolore avevano un qualcosa in più in grado di caratterizzarli all’interno della mirabolante scena metal di allora: erano decisamente più rozzi ed estremi.

Ed é proprio ‘estremo’ un termine pressoché perfetto per descrivere la furia cieca dei Nostri, intenti tra un riff e l’altro ad rievocare dall’oblio del tempo gironi infernali condannati secoli orsono da legioni di esperti sciamani ed esorcisti, esprimendo appieno tutta lo loro furia giovanile e la voglia di stupire, garantendo un impatto semplicemente disumano per i loro tempi: i riff di Claudio erano figli della più primordiale scuola slayeriana sebbene assai più veloci e minimali, ma era sopratutto la performance vocale di Ingo ad essere qualcosa di semplicemente inarrivabile ed inimitabile in quel 1985, sicuramente in qualche modo legata all’allora nascente thrash teutonico ma con un tono ancora più lacerante e diabolico, mentre Peso portava all’estremo gli allora conosciuti limiti percussivi verso nuovi lidi di ferocia con alcuni tra i primi blast-beat mai sentiti nella scena metal del suo/loro tempo.

Volendo descrivere la musica contenuta in qualcosa di decisamente più tecnico e descrittivo, oltre non si può andare: si risulterebbe ridicoli, pacchiani, fuori luogo, perché tra questi solchi non vi é solo musica, non vi sono solo riffs bensì vi é contenuto uno dei più splendidi e brillanti esempi di attitudine estrema degli anni d’oro del metal anche perché, ad onor del vero, ci si ritroverebbe davanti un suono pesantemente compromesso e saturato dal nastro probabilmente amatoriale con cui il tutto fu registrato, dei tecnicismi ridotti e spesso anche non perfettamente eseguiti….ma in fondo, a chi importa? O meglio, a voi importa? A me no, sapete?

Qui conta la ferocia, qui vi é il manifesto di un’attitudine senza pari che porterà allo sbocciare dei due successivi (capo)lavori e verso cui l’intera scena mondiale deve da sempre un tributo di proporzioni mastodontiche anche solo per questa ragione, ragione che forse non tutti potranno comprendere. Il metal estremo (specie quello primordiale), si sa, non é cosa proprio alla portata di tutti e tale deve rimanere il suo spirito, specie da parte di tutte quelle formazioni che hanno appreso le lezioni di tali Maestri (la maiuscola é d’obbligo) e che, tutt’oggi, continuano a propagandarne il verbo usando esattamente le stesse armi di allora vale a dire ferocia, sfrontatezza e la voglia di non guardarsi mai indietro, salvo quando si tratta di dover porre i dovuti ringraziamenti verso chi li ha ispirati e preceduti.

 

MILIONI DI PAROLE NON BASTEREBBERO

 

Insomma, oggettivamente, ci sarebbe da dire che su questo disco non ho praticamente scritto nulla, limitandomi al contorno di quello che ha effettivamente rappresentato al suo periodo di uscita come oggi, più di 30 anni dopo.

Ed altrettanto oggettivamente qualcuno potrebbe pensare che lo stia prendendo per il c-lo, a maggior ragione se vede il voto scritto sotto.

Un 100, si sa, significa perfezione assoluta e “The Shining Pentagram” é allo stesso tempo sia perfetto che imperfetto ed é proprio questa la sua forza nera: é bestiale, impreciso nell’esecuzione, senza alcuna produzione mirata e per questo é perfetto a suo modo, simbolo o addirittura vera e propria icona atemporale di un qualcosa che oggi possiamo solo ammirare nella sua pienezza, dopo ben tre decadi di infallibile invincibilità.

Sicuramente avrò fallito nel mio intento di descrivere appieno quello che questo disco mi trasmette, dopo ben due decadi di ininterrotti ascolti (ebbene sì, la prima volta avevo dieci anni a casa nel ‘citato cugino di cui sopra’), o forse no….oppure chissà, magari é solamente impossibile riuscirci.

La responsabilità caricatasi alle mie spalle é enorme e la sua portata quasi mi schiaccia con supremazia, e me ne vergogno, però ho cercato a mio modo di portare a questa Opera Magna il rispetto e la considerazione che tutt’ora merita. Sarò stato esagerato? Probabile, ma questo é uno di quei rarissimi casi in cui é proprio l’esaltazione la forma più moralmente corretta ed equilibrata per descrivere qualcosa.

 

“The Shining Pentagram” é uno di questi casi.

“The Shining Pentagram” é LA STORIA.

Tutti noi, extreme metallers o meno, dobbiamo qualcosa ai Necrodeath.

 

NOTA: Dedico questa recensione ed allo stesso tempo analisi storica ai Necrodeath tutti, sia membri storici che presenti della storia formazione italiana, per quello che hanno rappresentato agli occhi del mondo musicale e che continuano a rappresentare tutt’oggi. Senza gente come loro, oggi un sito come TrueMetal.it nemmeno esisterebbe e, nel segno di questo immortale segno di un’epoca, dedico loro un eterno e sentito GRAZIE.

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