Recensione: The shit ov God

Tra gli album più attesi della scena black metal del 2025, c’è il ritorno, tre anni dopo Opvs Contra Natvram, dei discussi (e talvolta discutibili) Behemoth, una band che non ha bisogno di presentazioni, avendo scritto un capitolo importante della scena estrema.
Anche perché i nostri sanno far parlare di sé e questo, volenti o nolenti, nello showbiz musicale, ha un peso: se con Opvs contra natvram attirarono l’attenzione mediatica con la pubblicazione di alcuni video sui loro canali social, in cui alcuni cattolici strappavano i manifesti pubblicitari del nuovo disco, con The Shit Ov God, si è andati oltre. Questa volta, il motivo di tanto rumore, è stato l’Unholy Trinity: il tour, ad alto tasso di blasfemia (e provocazione) che ha visto come protagonisti, oltre i Behemoth, anche i Rotting Christ ed i Satyricon. Un evento artisticamente importante ma che ha destato parecchie critiche soprattutto in casa nostra, come riportato da Truemetal.it: il consigliere comunale Michele Mardegan di Fratelli d’Italia, in una lettera al Sindaco di Milano Giuseppe Sala, chiedeva l’annullamento del concerto, evidenziando come la libertà di espressione avesse dei limiti. A fare eco alle parole del consigliere ci ha pensato Padre Bamonte, esorcista e vicepresidente dell’ AIE (Associazione Italiana Esorcisti), affermando che “Partecipare a uno spettacolo dei Behemoth significa quindi onorare il demonio in maniera diretta o indiretta, che lo si sappia o no. Il diavolo è l’anti-Dio, l’anti-Cristo.”, aggiungendo che “Chi pertanto ascolta la musica e le canzoni di questo gruppo, e assiste alle loro coreografie, e a maggior ragione chi lo fa con grande trasporto, viene avvolto e assorbito dalla corrente oscura e malefica che parte dalla band che si esibisce sul palco. Di conseguenza può essere a sua volta, come lo sono gli stessi membri del gruppo musicale, posseduto a vari gradi da tale spirito devastante”.
Fortunatamente per il movimento metal italiano, il concerto all’Alcatraz si è tenuto, come riportato nei nostri report e photoreport dell’evento, con tanto di un rassicurante esorcismo davanti alle porte del locale da parte di Padre David, come testimoniato sulla nostra pagina facebook.
Tutte queste polemiche, hanno accompagnato i singoli e la promozione di The Shit Ov God, tredicesimo album in studio dei Behemoth. L’artwork (opera di Bartek Rogalewicz) è sempre molto elegante: il bianco e il nero predominano nell’immagine che raffigura un essere diabolico, con lo sguardo verso il cielo, e che allo stesso tempo contribuisce ad evidenziare il logo dorato, raffigurante un sole, con al suo interno il titolo del disco, in cui la T è rappresentata con una croce rovesciata. La scelta del titolo è volutamente polarizzante, come afferma lo stesso Nergal: “Abbiamo scelto questo titolo provocatorio deliberatamente, rifiutando la sottigliezza a favore di una dichiarazione diretta e polarizzante. È un tuffo provocatorio nelle profondità, osando cercare l’assoluto anche nel fango”.
Il lavoro di in fase di produzione di Jens Bogren (Emperor, Kreator, Enslaved, Rotting Christ) è stato notevole e ha contribuito ad alzare e ottimizzare la musica della band, secondo le ultime inclinazioni della stessa, affiancando alla furia di una legione di demoni la nuova melodicità degli stessi ed evolvendo il percorso iniziato con The Satanist, che ha avuto una battuta d’arresto con I Loved You At Your Darkest, e si è poi ripreso con Opvs Contra Natvram. E su questo percorso artistico si muovono i Behemoth, attraverso le otto tracce che compongono la tredicesima fatica, per poco meno di 40 minuti di musica blasfema.
Si parte forte con The Shadow Elite, antesignana della nuova era, in cui il black metal dei primi anni quasi sparisce lasciando spazio al lato più melodico ma allo stesso tempo diretto come un pugno allo stomaco: un passaggio senza tante formalità, che lascia un forte segno all’interno del disco. Segue Sowing Salt, che gioca su una forte alternanza tra melodia e improvvise esplosioni di rabbia, in cui alla fine prevale, neanche a dirlo, il Male. La title track, che tanto clamore ha destato, è volutamente provocatoria, dissacrante e blasfemamente manicheista; è il loro Cantico del Diavolo, nel cui ritornello si fanno beffe di Gesù proponendone un acronimo. Visto con questo spirito, il brano è un potente veicolo promozionale in cui i Behemoth si rivolgono ad una nuova generazione di fan, diversa da quella che li ha fatti diventare ciò che sono. Diverso l’approccio di Lvciferaeon: più diretta, cattiva, e lanciata provocatoriamente dalla band in risposta (programmata?) alle critiche e alle proteste verso l’Unholy Trinity Tour. Un simbolo di sfida e umanità in contrasto con il divino, un passaggio che affonda le radici nel black veloce e duro che ha caratterizzato la i loro primi anni. To Drown The Svn In Wine rafforza la base di Lvciferaeon, con maggior violenza e crudezza, lasciando ai margini il death e riabbracciando, almeno idealmente, le proprie origini: bellissimo il finale con la voce femminile, stridente e dissonante. La retorica anticristiana emerge nell’oscurità di Nomen Barbarvm in cui il clean, che sembra quasi farsi beffe dei canti religiosi, apre un brano in cui il death torna mischiarsi sapientemente con il black. O Venvs, Come! è un’invocazione solenne che ben si concilia con i tempi lenti del brano, in cui emerge il lato melodico, con delle pregevoli sperimentazioni melodiche nel finale e ha tutte le potenzialità per diventare uno dei cavalli di battaglia nelle esibizioni live; prende, idealmente, il testimone da Versvs Christvs. Chiude Avgvr (The Dread Vvltvre), una cavalcata finale in cui il possente quanto pregevole drumming di Inferno emerge accompagnato da un riff veloce, cattivo e molto orecchiabile, con una voce bianca che cresce in maniera dissonante.
Come prassi consolidata da qualche anno e uscita, diverse polemiche hanno accompagnato The Shit Ov God, tanto nella sua espressione artistica quanto in quella concettuale, che concerne strettamente il significato dell’album. Per i fans della prima ora, va ricercato tra Evangelion e The Satanist il peccato originale dei Behemoth, ovvero il passaggio da un black metal violento, cupo, “pesante” e opprimente, verso nuove sonorità più death, accompagnate da un percorso più recente, avviato con Opvs Contra Natvram e perfezionato con The Shit Ov God, in cui giocano maggiormente con le melodie, lasciando sempre più spazio al clean e a queste sperimentazioni. Inevitabilmente, il cambiamento è una componente del tempo, e quindi questo non può far altro che abbracciare anche il percorso musicale di una band, attiva da oltre 30 anni, come ci ha spiegato bene Ihsahn. Come è cambiata anche la base: quale fan del genere, negli anni ’90, avrebbe partecipato ad un meet & greet? In un certo senso, parecchi artisti di quella seconda ondata, si sono reinventati, con risultati più o meno apprezzabili. La ricerca di questa nuova era di Nergal & soci passa attraverso un suono particolarmente pulito e una maggiore solennità, che in un certo senso va ad acuire il loro messaggio blasfemo e la sperimentazione di particolari soluzioni melodiche, che vedono un uso maggiore delle voci pulite; il tutto, comunque, suona sempre come un disco dei Behemoth. E poi c’è tutto il baillamme mediatico che ha accompagnato tour ed uscita del disco. La classe politica quanto la società stessa, ha bisogno di “mostri” come Nergal, per giustificare i loro tangibili fallimenti, un Emmanuel Goldstein di orwelliana memoria contro cui scagliare gli istinti e il malcontento del popolo, che ha cause ben diverse da quelle dei messaggi lanciati da un gruppo black/death metal. Dall’altro lato, immaginiamo come i Behemoth stessi non siano stati dispiaciuti dalle parole del consigliere Mardegan e soprattutto quelle di Padre Bamonte: dopo l’uscita della notizia, influencer di ogni piattaforma, hanno iniziato a parlare dell’Unholy Trinity Tour, generando parecchia curiosità e pubblicità nei loro confronti, di cui sicuramente avranno giovato (e guadagnato). Ma va anche detto che il trashtalking anticristiano di Nergal, non è una novità anzi, è un elemento piuttosto radicalizzato nella discografia dei Behemoth, che non è mai stato scalfito, neanche quando il suo leader è stato colpito da una leucemia, come ampiamente testimoniato nella sua biografia, Confessioni di un eretico. Quindi, in realtà, vincono tutti: chi si fa carico di un’istanza pseudo morale, attirandosi le simpatie della parte più tradizionalista della popolazione e chi è oggetto di queste critiche, ricevendo in cambio una visibilità maggiore, anche da parte di altre “fette di mercato”.
In conclusione, al netto delle polemiche, The Shit Ov God è un disco di livello di una band matura che propone la sua musica in un modo diverso, più pulito, restando fedele a quello che è il suo background e abbracciando quindi una nuova bellezza.
Il diavolo continua a danzare.