Recensione: The Space Between The Shadows

Di Alessandro Marrone - 15 Ottobre 2019 - 18:35
The Space Between The Shadows
Band: Scott Stapp
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2019
Nazione:
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75

Potrà sembrare un ritornello scontato, ma il successo porta con sé un pesantissimo lato oscuro. Nella maggior parte dei casi questa sensazione attanaglia la mente e lo spirito di chi ha raggiunto le più alte vette del mondo dello spettacolo, che si tratti di attori o di musicisti. Uno dei casi in questione riguarda da vicino Scott Stapp, ex-singer della band americana post-grunge Creed, un combo con il quale è stato capace di vendere 53 milioni di album (e tenete presente che i full-lenght di cui stiamo parlando sono soltanto 4) e scrivere alcune tra le più melodiche ed emozionanti pagine della musica pop-rock moderna. Un pop-rock con forti sfumature grunge e che spesso tendevano una mano aperta verso il metal, grazie al virtuoso chitarrista Mark Tremonti, adesso tra le fila degli Alter Bridge, ma questa è un’altra storia. Scott Stapp è stato la voce dei Creed, la voce di una generazione difficile, il portabandiera di un mondo ossessionato dentro a tal punto da vivere profondi drammi familiari. La carriera solista, incominciata nel 2005 con l’ottimo The Great Divide l’ha visto tornare dietro al microfono dei Creed per una brevissima reunion (Full Circle) che ha lasciato che poi ognuno seguisse il proprio percorso musicale e umano. Nel 2013 è stato il momento del secondo disco solista, Proof Of Life e poi ci sono voluti sei anni per far sì che il singer riuscisse a catabolizzare tutta l’energia negativa in arte e scrivere un disco personale, fortemente tormentato ma con tanta voglia di rivincita.  

 

Si intitola The Space Between The Shadows e non si nasconde affatto dietro a un dito, anzi cerca in tutti i modi di spiegare che nonostante l’oscurità possa stringere in una morsa soffocante, c’è sempre un piccolo bagliore di speranza al quale aggrapparsi, per il quale lottare e rinascere dalle proprie ceneri, più forti di prima. Il significato di questo disco è intrinseco nell’emotività del cantante, il quale compone 12 tracce di ottimo rock melodico. Dall’inizio alla fine si ha la consapevolezza di non ascoltare il lavoro di un personaggio qualsiasi, un po’ grazie alla inconfondibile timbrica di Scott, un po’ per alcune soluzioni che richiameranno in più di un’occasione alla mente i Creed – e questo non è affatto un lato negativo. Incisivo sin dall’inizio con World I Used To Know, passando per il groove tagliente di Name e Face Of The Sun, ma c’è appunto spazio per maggiore grinta, un sentimento che Stapp non vuole assolutamente reprimere ancora e lo mette in chiaro con Purpose For Pain.

Survivor è un altro degli episodi migliori, ha tutte le caratteristiche di una hit pronta a scalare le classifiche, sarà anche prevedibile, ma riesce comunque a non trasmettere quella sensazione che molti artisti non riescono a tenere lontana dai loro album più difficili, infatti The Space Between The Shadows non suona mai come un disco di mestiere, ma rende percepibile il battito del cuore di Scott dietro a ogni singola canzone. Un dato di fatto, come nel caso della delicata bellezza delle numerose ballad (su tutte Wake Up Call, Gone Too Soon – ispirata dalla prematura morte di Chester Bennington e Chris Cornell – e Ready To Love). La canzone che rappresenta invece l’apice compositivo del disco è Red Clouds, impregnata di tutta l’emotività che troppo a lungo ha gravitato attorno al grande estro compositivo del tormentato Scott Stapp. C’è poi anche spazio per due bonus tracks – Mary’s Crying e Last Hallelujah – le quali non vanno assolutamente considerate come degli extra, poiché esse stesse rappresentano due tra le migliori canzoni presenti sul disco.

 

Ho ascoltato The Space Between The Shadows giorno dopo giorno e senza rendermene conto è entrato in me come ogni album marchiato Creed. C’è qualcosa di speciale che rende la voce di Stapp diversa da tutte le migliaia di band che si sono accalcate alle loro spalle subito dopo la loro nascita, sul finire degli anni 90 e c’è qualcosa di unico e speciale nel sentire ancora adesso della musica genuina, ricca di emozioni forti e che riesce a trasmetterti quel senso di appartenenza ad un passato che è anche tuo e che non potevi più lasciare a prendere polvere sullo scaffale dei ricordi. Bravo Scott!

 

Brani chiave: World I Used To Know / Purpose For Pain / Survivor / Red Clouds

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