Recensione: The Speaker Wars

Di Fabio Vellata - 11 Luglio 2025 - 9:00
The Speaker Wars
Etichetta: Frontiers Music Srl
Genere: Rock 
Anno: 2025
Nazione:
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75

Con i The Speaker Wars, arriva una proposta da parte di Frontiers per una volta diversa dal solito.
Ai meno giovani, il nome di Tom Petty and the Heartbreakers probabilmente dirà qualcosa.
Siamo in territori prettamente “americani”, in un genere che incontra il southern con quello stile molto radicato alle origini del rock chiamato – per l’appunto – “Root” ed il country – rockabilly fatto di chitarre, voce e tradizioni a stelle e strisce.

Il nome di Tom Petty non esce a caso. Stan Lynch, deus ex machina e ideatore del progetto, è stato per tanti anni amico fidato e collaboratore di Petty proprio negli Heartbreakers. Band in cui ha ricoperto il ruolo di batterista dalla fondazione sino al 1994.
E proprio al gruppo del grande cantautore americano scomparso nel 2017, si devono gran parte delle sembianze stilistiche di questo interessante debutto messo in piedi con l’amico di vecchia data, il frontman Jon Christopher Davis.
Un disco di rock nel senso più antico del termine. Cuore, anima, voce ed emozioni. Un modo di scrivere canzoni profondamente cantautoriale che è appartenuto a Dylan, Eagles, Bob Seger, Allman Bros ed ovviamente allo stesso Tom Petty.

Difficile quindi, pensare a questo primo capitolo discografico come ad un prodotto dedicato ad una fascia di ascoltatori particolarmente giovane. Il target, va da se, mira ad un pubblico stagionato, attratto da un songwriting carico di esperienze, raffinato ed evidentemente poco acceso e rombante.
Un modo di comporre brani meditato, consapevole, smaliziato. Tipico di chi è un consumato veterano da tanti anni sulla scena e con mille collaborazioni in curriculum.

Spicca al di la di tutto, una netta demarcazione del disco in due fasi distinte. Una prima parte più elettrica e sanguigna, in cui emergono contorni spesso debitori proprio di Tom Petty e del rock di matrice americana più tradizionale.
Ed una seconda, in cui l’anima country prende il controllo e diventa dominante, trascinando verso le tonalità care ad Alan Jackson, Garth Brooks e Willie Nelson.
Come non citare tra le più belle e significative, la doppietta iniziale “You Make Every Lie Come True” e “It Ain’t Easy”, oppure il country malinconico di “Leave Him”.
Insomma materiale che esula un po’ dalla routine che siamo soliti trattare da queste parti. Ma che non è nemmeno troppo distante da certo melodic rock di scuola classica.
In fondo, un attimo di tregua alle orecchie per prendere fiato e relax, non è nemmeno così male.

Un ascolto di classe al di la del genere, costellato da composizioni solide e molto ben arrangiate. Il frutto di anni di esperienza, profumati di autenticità e grandissima passione per la musica.
Probabilmente, anche un riuscito omaggio ad un eccellente artista mai troppo celebrato.

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