Recensione: The System has Failed

Di Filippo Benedetto - 22 Settembre 2004 - 0:00
The System has Failed
Band: Megadeth
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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76

Eccolo finalmente. Dopo estenuante attesa, “ritorna in pista” Dave Mustaine. Lo fa riesumando lo storico moniker “Megadeth” presentandosi sul mercato discografico con la sua visione dei guasti del sistema. Il titolo, provocatorio, “The system has failed” inchioda tutti ad ascoltare la sua opinione sul sistema-mondo che fallisce. A coadiuvare il nostro in questa nuova impresa sono stati coinvolti Chris Poland e (niente meno che)  l’eccellente drummer Vinnie Colaiuta, oltre al bassista Jimy Solas.

 

Il disco si apre con “Blackmail the universe”, brano potente incentrato su un riffing tagliente perfettamente amalgamato con la sezione ritmica basso/batteria. Proprio il drumming colpisce positivamente l’ascoltatore: il lavoro di Colaiuta è preciso, pulito e senza sbavature. Lo sviluppo del brano ricorda vagamente i Megadeth dei tempi andati, forse grazie al buon lavoro di Chris Poland che, con un bell’assolo, dona al brano ulteriore spessore e “corposità”. Da un punto di vista puramente tecnico strumentale, in sostanza, già con questa prima song ci troviamo di fronte una band di buon livello che concentra l’attenzione dell’ascoltatore su continui cambi di tempo sempre ben congeniati. Inizio decisamente soddisfacente, quindi.
La successiva “Die dead enough”, primo singolo estratto dall’album, cambia decisamente atmosfera rispolverando alcune idee ampiamente sviluppate nei lavori degli anni 90 (un po’ di Countdown e un po’ di Youthanasia style) aggiungendovi, però, una maggiore “fluidità” sia nell’impostazione tecnico strumentale che in quella del songwriting. Sembra, insomma, che Dave Mustaine abbia “inquadrato” meglio che nel passato il proprio discorso musicale, creando un amalgama più coerente tra i passaggi di più diretto impatto e quelli più improntati all’armonia. Proseguendo nell’ascolto, ci si imbatte in “Kick the chair” e il nostro rispolvera nuovamente la potenza e la grinta del combo d’altri tempi (questa volta un po’ di Peace Sells e un po’ di Rust in Peace style) e il risultato è una song di nuovo pregna di cambi di tempo, riffing e solismi pregevoli, drumming dinamico ed efficace e soprattutto la graffiante voce di Mr Mustaine. Sicuramente questo è il brano che in veste “live” acquisterà maggiore impatto.
Fin qui sembrerebbe che il disco non riservi più sorprese ma con la quarta track, “The Scorpion”, il combo si cimenta in una song “particolare”. Fulcro di questo brano sono le ritmiche cadenzate, che permettono alle chitarre di sviluppare temi melodici prima leggermente “ermetici” ai quali seguono aperture melodiche che facilmente si stampano in mente. Ecco, anche in questo caso Mustaine riprende intelligentemente esperimenti sonori abbondantemente esplorati (anche negli episodi più “easy listenig”) condendoli però con un lavoro sugli arrangiamenti più puntuale e in grado di catturare l’attenzione dell’ascoltatore. “Tears in Vial” continua nella rivisitazione di temi ed atmosfere affrontati nei platter più recenti, ma con un occhio attento a non scadere nell’eccesso della melodia scontata. Personalmente non sono mai stato un estimatore dell’ultimo corso dei Megadeth, apprezzando comunque in essa un certo lavoro di qualità per quanto riguarda il profilo tecnico strumentale e ancor più quello degli arrangiamenti (unico vero tratto distintivo degli “ultimi” Megadeth).
Tuttavia, ascoltando questa song, ho trovato anche  qui un netto miglioramento, evidenziando un lavoro più attento a non scadere nella riproposizione di “standards” compositivi privi di accenni di “novità” nella verve compositiva. Dopo la breve parentesi strumentale di “I Know Jack”, la band di Mustaine cambia nuovamente discorso musicale con la settima traccia: “Back in the Day”. Il riff d’apertura inevitabilmente ricorda molto il maiden style, ma di seguito il collaudato stile dei ‘Deth prende il sopravvento regalando all’ascoltatore un quasi tre minuti e mezzo di cavalcate ritmiche coinvolgenti, riffs precisi e incalzanti e di nuovo l’inconfondibile timbrica del famoso chitarrista/compositore. In sostanza un altro brano interessante del platter.
Con “Something i’m not” ci troviamo di fronte ad un brano non perfettamente riuscito. Certo, il lavoro in sede tecnica è encomiabile, il refrain è discretamente costruito, ma la song nel suo complesso non ha particolare mordente rispetto alle precedenti.
Passando alla seguente “Truth be told” il nostro cambia leggermente impostazione armonica, focalizzado gli sforzi compositivi su un’architettura melodica più articolata, con repentini cambi di tempo, un riffing serrato e pregevoli solos che donano ulteriore corposità alla song nel suo complesso. Forse questo brano può essere considerato un embrionale tentativo di fondere, più coerentemente, lo stile passato con quello più recente sperimentato dal musicista. “Of Mice and Men”  (dal titolo sembrerebbe la risposta dei Megadeth alla famosa “Of Wolf and Men dei Metallica) rappresenta una song decisamente anonima rispetto al resto delle traccie contenute in questo album. Più evidente in questo pezzo si materializza l’ombra dei più recenti tentativi di ammorbidire il sound del gruppo, in più l’eccessiva ripetività del refrain principale (fulcro del brano) rende questa track quasi stancante all’ascolto. Il disco sta per volgere a termine e l’undicesima song, “Shadow of Death”, rappresenta un’altra decisa divagazione musicale rispetto al resto dei brani del disco. Questo strumentale è eseguito in maniera pregevole, ribadendo in maniera più che soddisfacente l’abilità tecnica dei musicisti coinvolti nel progetto. Chiude l’album un’altra song “anonima”, “My Kingdom Come”. Il pezzo si sviluppa quasi stancamente nei suoi circa tre minuti di durata lasciando più di un interrogativo su quale “messaggio” il nostro voglia esprimere all’ascoltatore con questa scialba composizione.

Giungendo alle conclusioni di questa recensione credo che “tirare le somme” di questo lavoro non sia facile. Posso, però, con certezza rassicurare il lettore su 3 appunti fondamentali su questo disco: non si tratta di un disco “thrash metal” (anche se in alcuni episodi l’eco dello stile passato si riconosce); non si tratta di un ennesimo disco fotocopia dei più recenti lavori (anche se alcuni “cedimenti”  ispirati a quel corso musicale si notano chiaramente); è un disco di onesto,  potente “heavy-speed metal”. Il consiglio finale, per concludere davvero, è di ascoltarlo comunque questo lavoro… che se non è il “Rust in Peace”, il “Peace Sells” del nuovo millennio, è il lavoro sicuramente più interessante prodotto dai “MegaDave” (permettetemi questa espressione) da almeno 7 anni  a questa parte. 

Tracklist:

1. Blackmail the Universe  
2. Die Dead Enough   
3. Kick the Chair   
4. Scorpion   
5. Tears in a Vial   
6. I Know Jack   
7. Back in the Day  
8. Something I’m Not  
9. Truth Be Told   
10. Of Mice and Men  
11. Shadow of Deth   
12. My Kingdom Come 

Line Up:

Dave Mustaine (vocals, guitar)
Chris Poland (guitar)
Jimmy Solas (bass)
Vinnie Colaiuta (drums)

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