Recensione: The Winter Wake

Di Gaetano Loffredo - 7 Febbraio 2006 - 0:00
The Winter Wake
Band: Elvenking
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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80

THE WINTER WAKE: INTRO
Il terzo tassello degli elfi tricolori si concentra sulla stagione più fredda ponendola in parallelo con i sentimenti più oscuri dell’animo umano.
The Winter Wake, questo il significativo titolo dell’ennesimo gioiello griffato Elvenking, ci dirige verso i territori insidiosi che popolano il regno fantasy qui immaginato prima e raccontato poi mediante, naturalmente, l’utilizzo della musica: preparatevi ad attraversare terre infestate da “Trows”, una particolarissima specie di fata malvagia, affrontare il tema della morte rappresentato in modo “grandguignolesco”, rincorrere i sogni tramite viaggi al fianco di spiriti-guida ma fate attenzione a non perdere la retta via allettati da illusioni che potrebbero trasformarsi in semplici disillusioni.

Se  anche voi, come me, avete sognato sulle note dei magici Heathenreel e Wyrd, non avrete perso tempo ad attendere una recensione di un disco che già da qualche giorno girerà sul vostro fidato lettore: The Winter Wake è un sonetto che permette, come nei casi precedenti, di abbandonare per 54 minuti e 53 secondi il mondo reale e di entrare in una dimensione da “mille e una notte”, come se le fiabe, tutto d’un tratto, potessero configurarsi attraverso la loro essenza.
L’abbandono dell’eclettico frontman Damnagoras aveva lasciato, due anni fa, un buco che Aydan ha coperto disegnando un disco importante, Wyrd, insieme all’amico e compagno di avventura Jarpen; coppia che  si è sfaldata dopo il recente split del secondo chitarrista.
Il ritorno del vocalist originario, che ha sostituito Kleid (ad ogni modo positivo il ricordo che ha lasciato), ha ridato linfa ad una band che ha anche rischiato di sciogliersi nel periodo che li ha condotti sino al neonato The Winter Wake, linfa che ha pesato sul piano psicologico e soprattutto sul piano produttivo considerato il sostanziale apporto in fase di songwriting.

Quello che ne esce fuori è, pertanto, un album fresco ed allettante, più ragionato dei precedenti capitoli e, fondamentalmente, più aggressivo.
Un lavoro estremamente competitivo se paragonato a produzioni di secolari band estere che incorpora tutti gli elementi degli Elvenking: una realtà italiana degna esportatrice di heavy metal nel mondo.

THE WINTER WAKE: PARTE PRIMA
Trows dicevamo… le fate crudeli sono protagoniste del primissimo brano, Trows Kind, utilissime per descrivere come il mondo moderno abbia perso e conseguentemente distrutto il dono dell’immaginazione e, con essa, anche le creature della fantasia umana. Il racconto si sviluppa tramite un up-tempo che scorre magicamente attraverso il violino di un Elyghen ispirato e conduttore di quella energia positiva che in pochi oltre agli Elvenking riescono ad emanare. Il coro si lascia cantare sin dai primi ascolti e Damnagoras si destreggia come fece nel debutto per una hit davvero imperdibile.
Attraversato il piano astrale delle arcane incantatrici, l’oscura fiaba di Swallowtail è pronta ad avvolgervi e soffocarvi (metaforicamente) con le ali di una bellissima ed ingannevole farfalla. Si parte a ritmo sostenuto sino ad assaporare la dolcezza delle note post-chorus precedute da un bridge irruente come non mai.
E’ il turno di Schmier dei Destruction e delle sue crude vocals adattate sulla title track semplice, diretta e oserei dire catatonica, costruita su un parallelo tra la stagione invernale e, ancora una volta, sui sentimenti più profondi e glaciali dell’animo umano.
The Wanderer è il classico pezzo da novanta; l’acquisto del disco è giustificato da questa “freccia” estratta dalla faretra di Aydan e lanciata alla massima velocità: centro del bersaglio.
Viaggiare con la fantasia, scappare dalla realtà per raggiungere luoghi che esistono solo nella immaginazione è una delle potenzialità più apprezzabili dell’animo, come prova ad insegnarci il chitarrista nel testo ad essa dedicato… Spesso, però, si rischia di smarrire la strada nel tentativo di ripercorrere i propri passi e perdersi nei luoghi immaginati senza la possibilità di tornare alla realtà.
I passaggi dello Yamaha EV-204 di Elyghen racchiudono una delle melodie più azzeccate sino a quando il break centrale non indurisce il brano con i battiti scanditi dalla batteria di Zender.
Si passa da un brano sostenuto all’altro, è il turno di March of Fools, quasi thrash nel suo esordio, decisamente più “cattivo” ed evocativo del precedente in relazione soprattutto al growl, qui spesso utilizzato, ed al suono della chitarre sulle quali il pezzo si adagia.

A chi non è mai capitato di guardarsi in giro pensando “ehi, ma questi sono tutti matti?”. E se invece il pazzo fosse colui che si pone la domanda? I ragazzi, si sono divertiti ad immaginare un immenso esercito di “stupidi” pronti a conquistare di tutto e ricostruire con ironia la situazione psicologica di chi si sente dall’altra parte della barricata… geniale.
A chiudere la prima metà del disco ci pensa una delle due splendide folk-ballads, On The Morning Dew,  che delinea i suoi sinuosi contorni per mezzo di chitarra acustica e flauto dolce e abbraccia delicatamente con l’intreccio vocale di Damnagoras e di Laura De Luca per un soliloquio che racconta un sogno che si realizzerà per una sola notte, lui il suo elfo e lei la sua fata: la fantasia di poter vivere quel momento svegliati dalla rugiada mattutina, appunto, per una notte soltanto…

THE WINTER WAKE: THE MAKING OF
Le sfaccettature del disco sono importanti e molteplici in tutti i suoi settori.

Il lavoro regala un parco invitati d’eccezione; abbiamo già parlato di Schmier dei Destruction ma come dimenticare il secondo solo di chitarra ad opera di Nino Laurenne (Thunderstone) sulla song d’apertura. Jarpen, come si è detto ex componente della band, impressiona anch’esso con un fulmineo assolo sulla title track e su Petalstorm (bonus track dell’edizione giapponese) per non parlare dell’incantevole soprano, Pauline Tacey, che alleggerisce le situazioni veementi di March of Fools e di Disillusion’s Reel della quale parlerò più avanti.
La già citata Laura de Luca e Isabella “Whisperwind” Tuni dimostrano che la componente femminile è un asse portante della struttura di The Winter Wake e, non posso dimenticare la prova di Umberto Corazza che autografa il platter dopo aver suonato gli immancabili flauti.
Non ultimi i sette elementi del coro che si compone dei nominati Pauline, Laura, Isabella Damnagoras, Aydan, Elyghen e dei non ancora presentati Giada Etro e Isabella Tuni.
All’appello manca lo String Quartet, 2 violini, Eleonora Steffan e Attilio Cardini, un violoncello, Marco Balbinot e una viola, quella di Elyghen che ha messo in piedi questa “mini-orchestra” che sentirete sul pezzo Neverending Nights.

Sulla versione limitata di The Winter Wake, quella europea, troverete una traccia multimediale della durata di un quarto d’ora circa che mi ha lasciato un tantino perplesso a causa delle dichiarazioni del leader della band, Aydan, e delle sue intenzioni di abbandonare il vascello prima del ritorno di Damnagoras (ne parleremo in modo approfondito sull’imminente intervista).

Il booklet è il migliore dei tre prodotti sino ad ora ed è ad opera di Gyula Havancsak, professionista che ha svolto un lavoro eccellente e, artista mi ha colpito per l’attenzione maniacale riposta sui disegni fantasy all’interno di un libretto assolutamente affascinante. Di gran lunga sconfitti i precedenti Travis Smith e Duncan C. Storr. Da riconfermare.

THE WINTER WAKE: PARTE SECONDA
La rappresentazione visiva della morte è  il tema della settima Devil’s Carriage, che conferisce originalità sia per le ritmiche punk-oriented sia per l’altalenarsi di fasi scattanti a quelle un po’ più flemmatiche, come accadde nella vecchia Moonchariot, ricordate? Questo appena riportato e il prossimo sono due passi meno distesi e non particolarmente evidenti all’interno del disco, gradevoli sì ma, nel bene o nel male, quasi trascendentali.
Certi tipi di messaggi, pur nella loro semplicità, possono trascinare un certo target di persone ed influenzarle fino ad accompagnarle alla distruzione totale. Rats Are Following ci regala la rivisitazione di un luogo comune presente e visibile ad occhio nudo se rapportato alla società odierna, una spiegazione di come sia facile tenere in pugno la “massa” trasportandola nei pressi del male imperante.
Ritornano i sogni con Rouse Your Dream che ci invita a rincorrerli in ogni caso, anche quando essi sembrano irraggiungibili, anche quando a crederci sei soltanto tu.
Nella fattispecie si parla di una canzonetta non certo intricata e nemmeno complicata, un tantino manierista a dire il vero, che caracolla sull’asse bridge-chorus evidenziando il guitar-solo che si frappone nel mezzo del suo vertiginoso cammino.
E’ giunto il tempo del viaggio con gli spiriti guida analizzando, ancora una volta, quanto l’uomo sia fragile e come, col passare degli anni, si dimentichi delle emozioni e delle sensazioni… quando a poco a poco sfuma uno dei principi primari: quello del “carpe diem”.
Le liriche introspettive appena riassunte appartengono alla bellissima Neverending Nights, patrocinatrice del power metal melodico e dell’avvincente taglio folcloristico fuso e diffuso col sound metallico degli Elvenking.
La caratteristica del pezzo in questione è la sua suddivisione in due tranche predefinite, la prima marchiata dallo speed più classico, la seconda dal folk più melodico tanto da confondersi, in un punto ben preciso, con una tarantella napoletana.
Appena prima della cover dedicata ai maestri Skyclad, Penny Dreadful (riproposta ottimamente), il nostro cammino si interrompe con una ballata sopraffina a titolo Disillusion’s Reel. Tutto converge intorno a questo stato d’animo (la disillusione) che spesso si impossessa di noi, facendoci credere in cose che, a fatto compiuto, non si sono rivelate tali. Il padrone del brano è anche colui che l’ha scritto: Damnagoras e la sua voce quantomeno caratteristica. Notevole.

THE WINTER WAKE: OUTRO
Non vi ho ancora parlato della produzione finalmente professionale (anche se forse un pochino schiacciata in modo da amplificare i suoni degli strumenti andando a penalizzare in qualche punto la voce) seconda soltanto alle mega-realizzazioni rhapsodyane, applicando il paragone alla sola Italia.
Registrato agli Sherpa Studios italiani, missato ai Sonic Pump Studios finlandesi e masterizzato ai Finnvox Studios da Mika Jussila, The Winter Wake è una sicurezza assoluta in relazione all’argomento in oggetto.
Insomma, gli elementi del puzzle sono quasi tutti al posto giusto, bisognerà lavorare ancora sulle composizioni che, per quanto mi riguarda, sono stellari quando il songwriter è Aydan, e “soltanto” molto buone quando chi scrive è Damnagoras, oltretutto, la mancanza di Jarpen si sente.

Gli Elvenking sono cresciuti e la loro nuova realizzazione è, per il sottoscritto, migliore della precedente e almeno alla pari del primo smeraldo che, dopotutto, non si impolvera col passare del tempo.
Stra-consigliato ai fedelissimi del settore e anche, perché no, ai non “addetti”: le sorprese e le emozioni non mancheranno.

Gaetano “Knightrider” Loffredo
 

Tracklist:

1.Trows Kind
2.Swallowtail
3.The Winter Wake
4.The Wanderer
5.March of Fools
6.On The Morning Dew
7.Devil’s Carriage
8.Rats Are Following
9.Rouse Your Dream
10.Neverending Nights
11.Disillusion’s Reel
12.Penny Dreadful (Skyclad cover – European bonus track)
13.Studio Making Of Video Clip (European bonus video)

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