Recensione: There’s A Storm Coming

Di Fabio Vellata - 19 Dicembre 2014 - 23:39
There’s A Storm Coming
Band: In Faith
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2014
Nazione:
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80

Inforcare le cuffie, premere play, chiudere gli occhi.

Sensazioni ed impressioni in arrivo: un hard rock, equamente melodico e virile, vellutato in alcune parti armoniose, ben prodotto e dalla struttura ispessita da un buon livello chitarristico.
Voce ruvida dalle sfumature familiari, ritmiche in costante tono “medio”, ritornelli che puntano sul lato “catchy” senza però indugiare in eccessi di piacioneria.
Accidenti…che sia un azzeccato come back degli Harem Scarem? Si direbbe proprio…!

E invece no.
La band si chiama In Faith, la provenienza è europea anziché canadese (segnatamente britannica) ed il disco in questione – “There’s A Storm Coming” – è niente meno che un debutto edito giusto un paio di mesi fa dalla piccola Rocktopia Records, label che avuto l’onore di licenziare in contemporanea pure il nuovo dei Ten.
Il risultato, nonostante i fattori siano del tutti diversi rispetto a quelli preventivati, però non cambia: il piacere d’ascolto è davvero notevole, tanto che l’opera d’esordio di questa sconosciuta ed oscura formazione inglese riesce ad issarsi al di sopra di molte delle uscite melodic rock del periodo.
I motivi sono da ricollegarsi direttamente a quanto scherzosamente riportato in apertura. La miscela proposta dal singer Pete Godfrey e dai suoi compari d’arme Tony Marshall e Pete Newdeck (vecchia volpe dell’AOR d’oltremanica con gloriosi trascorsi nei Newman) è di quelle che negli anni hanno saputo rendersi passione di torme di amanti del rock venato di AOR: un equilibrio tra animosità ruggente e zuccheri a profusione, circondati da suoni ben costruiti e da un songwriting che non inventa nulla ma riesce a focalizzarsi sui cardini principali del genere, spandendo tonnellate di melodia alla ricerca dell’hookline capace di rendersi facile da ricordare.

Nulla da obiettare. Aiutati da qualche ospite di qualità come Brooke St.James dei Tyketto, Chris Green e Pat Heath dei Furyon, gli In Faith ci azzeccano in larga parte.
Del resto un terno secco di brani come l’opener “Radio”, “Does It Feel Like Love” e la vicina “Church Of Rock n’Roll” sono una sorta di bignami in note dell’AOR muscoloso che proprio ai Tyketto ed agli Harem Scarem di Harry Hess e Pete Lesperance ha garantito successo duraturo. Il passaggio immediato alle eleganze fascinose di “Where I Wanna Be” e “If That What Love Means” piazza poi in bella mostra il lato più edulcorato di una proposta che viaggia sempre in brillante armonia tra ruvidità e raffinatezza, lasciandosi di quando in quando andare ad un approccio vicino all’airplay radiofonico in occasione di un pezzo come “Leave Me Now”, momento fortissimamente easy-listening pronto ad occhieggiare al grande pubblico.

Chitarre in risalto, atmosfere slow da lume di candela, deviazioni sulle rotte assolate del rock melodico americano: presi uno ad uno, i brani che vanno a comporre l’opera prima degli In Faith denotano, insomma, un’attenzione importante per l’equilibrio degli ingredienti ed una significativa padronanza nella loro miscela.
Nulla che sappia di band alle prime armi, nulla che esprima – nemmeno da lontano – l’ingenuità o l’inesperienza di musicisti impreparati o dotati di scarsa professionalità.
Piuttosto, l’idea di aver incontrato un ensemble solido e ben focalizzato, con l’idea chiara nel voler perseguire l’obiettivo di un AOR ben costruito, orgoglioso e soprattutto piacevole da ascoltare in totale scioltezza.

Si aggiungano infine un bell’artwork ed una produzione che permette all’album di suonare degnamente, senza difetti o cedimenti, ed ecco sfornato uno dei debutti-sorpresa (o dischi “rivelazione” che dir si voglia) dell’annata 2014 in via di compimento.

Auguriamoci non si perdano nel nulla: che la tempesta arrivi per davvero e sia duratura…

 

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