Recensione: This Side Of The Dirt

Di Valeria Campagnale - 23 Settembre 2025 - 12:22

Il progetto Dusted Angel, attivo a Los Angeles dal 2008 e formato da musicisti con un background prevalentemente Punk Rock, ha segnato il suo atteso ritorno con l’album “This Side Of The Dirt” dopo una pausa di quindici anni. Il disco si presenta come un’opera autentica e terrosa, che incarna lo spirito più schietto del rock’n’roll.
Fin dalla traccia d’apertura, “Plastic People”, l’album svela un sound potente e multiforme, caratterizzato da un’esplosiva fusione di generi. La band mescola sapientemente un’aggressività heavy con sonorità pesanti e una spiccata vena melodica. L’identità sonora dell’album è definita da riff robusti e imponenti, una sezione ritmica possente e una voce cruda e priva di orpelli, che evoca uno stile vocale potente e narrativo.
La diversità stilistica del gruppo emerge nel corso dell’album: se “Redman” conferma l’influenza stoner, l’album sorprende con le sue sonorità dense e fangose e, in un inaspettato cambio di rotta, con un riff che evoca il classico heavy metal britannico che apre “Little Lizzy”. Brani come “The Thorn” rievocano le atmosfere del Garage-Rock, mentre la conclusiva “Seeking The Dawn” sintetizza l’essenza dell’opera con riff che richiamano il Proto-Metal anni ’70 e un’attitudine Punk.
In definitiva, “This Side Of The Dirt” è un’opera che, pur non puntando alla perfezione formale, si distingue per la sua integrità e onestà artistica. L’album rappresenta un trionfo per i Dusted Angel, una testimonianza di come la passione e la perseveranza possano superare il tempo e le avversità. È un ascolto obbligato per chiunque apprezzi l’autenticità del rock’n’roll e cerchi un sound denso, graffiante e melodico.

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