Recensione: Tokyo Singing

Di Elisa Tonini - 21 Dicembre 2020 - 8:30

In questo 2020 tormentato dalla pandemia di Covid-19 arriva spesso dai musicisti il messaggio più o meno esplicito di non arrendersi mai, la determinazione nel superare gli ostacoli e di rialzarsi. Uno di questi pare giungere dai WagakkiBand con il quinto album “Tokyo Singing”, dove impongono la loro identità in modo ancora più forte rispetto al passato.

Nel “canto di Tokyo…” dalla consueta formula di strumenti tradizionali giapponesi ed elettrici, emergono batteria e wadaiko per creatività, potenza e precisone, mentre la chitarra – che sfoggia assoli degni dei migliori chitarristi – sembra correre libera e raffinata come non mai. Questi elementi insieme al dinamico basso ed agli strumenti folk, danno vita a sfuriate corpose ed inafferrabili, dall’istinto decisamente metal oppure hard-rock, soft-rock o pop in un miscuglio trasformista, orecchiabile ma tutt’altro che “commerciale”. In quanto a mood camaleontico “Reload dead” ed “Eclipse” sono probabilmente i brani più atipici dell’intera opera. Il primo stordisce e poi ammalia con esplosioni irruente e spensieratezza mai pacchiana in una sorta di riuscitissimo “stop and go”, inframezzato da ondeggianti ed appassionati cori femminili e maschili. “Eclipse” spiazza con l’iniziale cantato solitario di Yuko per poi proseguire teatralmente distesa ma fragrante nei ritmi, anche assieme alla voce del chitarrista Machiya. D’effetto una sinfonica oscurità ed arrangiamenti darkwave, con un anelito di luce.

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Speranza e determinazione infondono, invece, “Sakura Rising”, scritta dai WagakkiBand in collaborazione con Amy Lee degli Evanescence. Un riuscitissimo mix che include abbondanti arrangiamenti scracth ed hip hop, sospinti da un pulsante e notturno groove alternative metal, in cui il colore “americano” viene dato inaspettatamente anche dallo scandito shamisen. Giappone ed America sono ulteriormente rappresentati dalle turbinanti voci di Yuko ed Amy.
Un virtuoso uragano la stupenda “Ignite” ( già presente nell’EP “React” del 2019) tra i brani più duri e contemporaneamente più complessi del disco. Il vero apice in quanto a durezza si trova però in “Guernica” -soprattutto- ed in “Sun Wheel”, sberle sonore incendiarie ma seducenti, al limite del death metal melodico in quanto a struttura, ed incorniciate da un’eroica grandiosità di stampo power metal. In “Guernica” vi è addirittura un growl maschile finale.

Fortemente granitiche pure l’iniziale “Calling” e “Singing For…” che ruotano invece su un’impostazione più comune alla maggior parte dei loro brani – specie la seconda – ma qualitativamente assai validi. In particolare, “Calling” incanta per una tremolante eppure fluida base hard’n heavy dal sapore mistico e selvaggio.

Decisamente indomabili “Tokyo Sensation”, “Origami-ism” e la bonus-track “Roki”- presente solo nella versione digitale – che sorprendono con una pazzia a tratti funky e passaggi al fulmicotone, in linea con quella del debutto “Vocalo Zanmai”, specie “Tokyo Sensation”. Quest’ultimo è il brano più “semplice” del lotto ma tra i più riusciti per variazioni espressive e tecniche, unitamente ad una velocità che porta quasi a reminiscenze thrash metal. Il vistoso koto lega tutti gli elementi armonizzando perfettamente con il basso. “Origami-ism” insieme a “Roki” è forse il pezzo più allegro, bizzarro e fanciullesco, vicino in qualche modo a certe cose dei B52 e Talking Heads.

Aparentemente più misurati i “lenti” “Living Flowers”, “A Letter With No Name” e “Queen of the Night”, perlopiù in bilico tra melodie soft-rock di Eagles e Dire Straits e ballate hard rock nei passaggi in crescendo. “Living Flowers” colpisce con fare elegante, soave eppure decisamente fragoroso, quasi esplosivo. D’altra parte, “A Letter With No Name” fa spesso leva su un cantato sussurrato anche nei cori, in un’atmosfera R’n’B pulsante per poi ritornare tradizionale nel momento di maggiore intensità espressiva. Nella sua tipologia, sicuramente uno dei più particolari della band. “Queen of the Night” è invece più morbida delle tre, la più comune e meno ispirata del disco, seppur sia comunque molto graziosa.

Con “Tokyo Singing” i WagakkiBand si risollevano dal “patinato” full-lenght “Otonoe” (2018) tornando per certi versi alla risolutezza di “Yasou Emaki” ed alla bizzarria smaliziata del debutto “Vocalo Zanmai”, andando comunque oltre in quanto a convinzione e fiducia nei propri mezzi. Una sicurezza che manda a casa molti gruppi ed artisti, qualunque genere musicale facciano. C’è una vibrazione live, piena, mentre la prestazione vocale di Yuko dà prova di maggiore varietà e versatilità. Globalmente si potrebbe definire il loro album più riuscito, maturo, anche se forse i Nostri possono sperimentare ancora in tal senso, nonchè valorizzare maggiormente lo shamisen oltre che nel volume, anche in fase di scrittura. Adatto ai fan del folk metal, del prog e più in generale a chi ama musica suonata divinamente.

Elisa “SoulMysteries” Tonini

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