Recensione: Tomorrow Never Comes

Di Antonio Miele - 4 Giugno 2023 - 20:27
Tomorrow Never Comes
Band: Rancid
Etichetta: Epitaph Records
Genere: Punk 
Anno: 2023
Nazione:
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75

A distanza di sei anni dall’album ‘Troublemaker’ ritornano i Rancid, storica Punk Band statunitense con oltre tre decadi di solida esperienza sulle spalle, con ‘Tomorrow Never Comes’, il nuovo Full-Length.

Prodotto ancora una volta dal fidato Brett Gurewitz (chitarrista dei Bad Religion), questo nuovo lavoro è posto sulla scia del predecessore, con pezzi che viaggiano per direttissima e che raramente superano i due minuti.

Sedici canzoni in meno di mezz’ora! ‘Tomorrow Never Comes’ è l’album più corto della loro intera discografia. Sono ormai lontani i tempi degli esordi, quelli dello Street Punk più “cattivo”, anche se qualche reminiscenza si sente ancora in ‘Don’t Make Me Do It’, scelta come secondo singolo e decisamente Oi! (altro modo per intendere lo Street Punk, derivato da ‘Hey You’ – e poi dicono che siamo noi metallari ad inventarci un genere dietro l’altro …), ma si tratta di un episodio praticamente isolato.

Non vi è alcuna traccia nemmeno delle classiche incursioni passate in territori Ska e Reggae: i pezzi sono ridotti all’osso, lanciati dritti e senza sosta, con Branden Steineckert (che, dal 2006, ha sostituito Brett Reed) dietro alle pelli a dettarne i tempi.

I brani migliori sono la Title Track e ‘Prisoners Song’, nei quali gli storici componenti, Tim Armstrong (voce e chitarra), Lars Frederiksen (seconda voce e chitarra) e Matt Freeman (basso e cori), si alternano al microfono.

C’è anche qualche richiamo al loro capolavoro del 1995 ‘…And Out Come The Wolves’ nelle tracce ‘New American’ (soprattutto nel giro principale di chitarra, che rimanda ad ‘Olimpia WA’) e ‘Eddie The Butcher’, che porta echi di ‘Maxwell Murder’ nelle note del basso.

A proposito di basso, questo è un album assolutamente “basso centrico”, in cui Matt dimostra, ancora una volta, di essere tra i migliori nel panorama mondiale e non solo per quanto riguarda il Punk (alla faccia del detto che dice che il Punk è fatto di ‘tre accordi’).

La voce del barbuto Tim Armstrong è sempre più ruvida e “vissuta”, e questo conferisce ai brani che canta quel tocco Old-School che, altrimenti, sarebbe mancato.

Mentre il buon Lars appare ahimè un po’ sottotono: non a caso ‘Drop Dead Inn’ e ‘Magnificent Rogue’, dove è proprio lui la voce principale, sono gli episodi meno riusciti.

Per quanto ‘Tomorrow Never Comes’ abbia delle sbavature, la cosa importante è che i Rancid sono tornati. Speriamo di non dover aspettare ancora così tanto per il prossimo album e speriamo, soprattutto, che tornino a ‘contaminare’ un po’ il loro sound, perché ci piacciono anche così: non sarebbe affatto male sentire una nuova ‘Time Bomb’.

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