Recensione: Tràth na Gaoth

Di Daniele Balestrieri - 17 Marzo 2004 - 0:00
Tràth na Gaoth
Band: Aisling
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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88

È passato un anno da “Aisling“, il primo full-length interamente autoprodotto degli Aisling, band Triestina ormai attiva da 6 anni, e già troviamo sugli scaffali il loro secondo lavoro, “Tràth na Gaoth“, ovvero la “Stagione dei Venti”. Dai tempi di Aisling alcune cose sono cambiate: la line-up si è assestata, e ora presenta Valentino Casarotti alle voci, Matteo Castiglione alla chitarra, Paolo Vidmar alla chitarra ritmica, Stefano Persi al basso, Alberto Bravin alle tastiere e Paolo Marchesich alla batteria. La prima cosa che salta all’occhio è un prolungamento della line-up esclusivamente per questo lavoro, prolungamento che vede una direzione strumentale classica, grazie a Edoardo Meola al flauto, Callum Kirk alle voci e ai fiati, Andrea B. Sebastiani al violoncello e Daniela Pobega alle voci femminili. Questo affollamento di musicisti mi ricorda il retaggio della “new wave” musicale/concettuale che sta spopolando in tutto il nord Europa, in cui le band si riempiono di musicisti per dar vita a esperienze liriche davvero uniche (Asmegin, Borknagar) e ben amalgamate tra tradizioni e sound rivoluzionari. In genere questa è una prerogativa delle band scandinave, che ormai possono rivendicare la paternità di questo tipo di arrangiamenti, e la mia sorpresa è stata grande quando ho terminato il primo ascolto di questo “Tràth na Gaoth”. La raffinatezza che hanno raggiunto i membri di questa band è da non credere, e questo EP sembra tutto fuorché un CD italiano. Del resto, fin dagli albori gli Aisling si sono sempre professati portavoce della tradizione celtica del nord-est italiano, e hanno spiegato con dovizia di particolari quanto la loro Trieste sia in realtà una città di fondamenta Celtiche, con tutta la trazione, storica e spirituale, che ne deriva.

Non è un mistero che personalmente io non gradisca più di tanto il metal di stampo celtico, al momento guidato dai famosi Cruachan, e temevo un po’ per i miei gusti al momento dell’arrivo del CD nella mia cassetta postale.

E invece gli Aisling mi hanno dato una bella lezione, ricacciandomi in gola i pregiudizi. Tràth na Gaoth popola costantemente le mie giornate. È un CD splendido, una prova eccellente, dalle atmosfere uniche, dalla sapienza compositiva davvero lodevole. Dal debutto un po’ grezzo di un anno fa di strada ne hanno fatta, e tanta, e ci troviamo di fronte a un lavoro assolutamente unico per essere italiano, non mi stancherò di ripeterlo. Dopo pochi ascolti mi è stato subito tutto chiaro: non posso fare altro che avvicinare le sensazioni, il coinvolgimento e le emozioni che mi dà questo album alle stesse che mi hanno dato lavori come Bergtatt degli Ulver, o Kveldssanger, o addirittura gli Emperor più melodici di In the Nightside Eclypse, e a tratti ho percepito la gravità degli Immortal, i giochi strumentali dei Borknagar e degli Asmegin, e la potenza eterea/folk di gruppi quali Storm e Vintersorg. Purtroppo sono stati solo attimi, scintille, in un EP che è una minaccia, più che una promessa: se gli Aisling mi si presentassero davanti agitando questo lavoro tra le mani e dicendomi “occhio che la prossima volta ti sforniamo un album completo di 60 minuti di questo livello”, io avrei paura di trovarmi di fronte a un Bergtatt italiano, una cosa che non mi sarei mai sognato nella vita. Certa musica viene dal cuore, non è solo tecnica. E il cuore è anche radici, e gli arrangiatori di questo CD sanno decisamente il fatto loro in questo campo.

Purtroppo è vero, parlo solo di scintille. L’EP dura appena 15 minuti e 25 secondi e consta di tre tracce. Per quante cose abbiano voluto raccontarci, volenti o nolenti non hanno avuto proprio il tempo “fisico” per farlo con una certa completezza, e ci troviamo quindi di fronte a rigurgiti, accenni, prove, tentativi, che non hanno assolutamente il tempo che meriterebbero per dipanarsi in capitoli, in un’esperienza completa e appagante. Insomma, invece di alimentare il fuoco con un flusso continuo di legna, hanno preferito tirare una tanica di benzina, creando una fiamma vivida, agitata, ma breve.

Ci sono molte cose da sottolineare: devo iniziare per forza dallo scream eccellente di Valentino Casarotti. Ne ho sentiti tanti di scream in vita mia, specie nella scena italiana, ma questo non ha nulla da invidiare ai maestri scandinavi: potente, equilibrato (un dono pregevole), forse leggermente poco aperto nelle battute di apertura della prima traccia, “Memories of a Timeless Vision“, che presenta anche una specie di gorgoglìo riconducibile a un growl tenebroso, ma in miglioramento costante minuto dopo minuto, fino a raggiungere picchi notevoli, senza sbavature una volta superata la metà della canzone e suo bellissimo, carico assolo strumentale acustico, graziato da un etereo inseguirsi di flauti, chitarre acustiche, strumenti a corde e tastiere malinconiche, tristi, di una carica emozionale come poche. Ottima anche la batteria, canonica nella prima traccia, ma grandiosa nella terza, una volta superata la seconda, “Laoìdhan Fogharach Na Dubachas” che si apre con un timpano minaccioso, come di un temporale in avvicinamento, che si libera in una maestosa quartina recitata in lingua celtica, e prosegue con una lunga parte strumentale che abbandona il metal per gettarsi in un abisso strumentale di violoncello, flauto, chitarra classica e tastiere, di atmosfera impagabile, un pezzo orchestrale di sapore perduto, ancestrale, drammatico, lento e levigato come una pietra di ruscello, nello scorrere delle cui acque assistiamo alla chiusura della traccia d’intermezzo e all’apertura di “The Shining Darkness (Omega)“, che tra folate di vento e chitarre classiche prende il trono di mia personale canzone preferita. Qui troviamo di tutto: screaming selvaggio, un violoncello violento, una tastiera che con giri e giri di accordi ci getta nei mulinelli di un vento tempestoso, fatto di ottime chitarre, piatti turbinanti e improvvisi, pulsanti, maligni rallentamenti.

Ottima la prestazione della delicata voce femminile di Daniela Pobega, mai troppo carica né pomposa, come spesso accade nei gruppi emergenti, ma al contrario sempre ben amalgamata con gli strumenti e lo scream portante.

Insomma, che devo dire. Devo ancora trovare qualcosa fuori posto in questo “Tràth Na Gaoth”. Un’opera brevissima ma incisiva, una delle cose più belle che mi sia capitato di ascoltare in molto tempo. Un miscuglio vincente di black metal di vecchia scuola scandinava, folk strumentale e un pizzico di gothic, che rende questo lavoro ben inquadrato nello schema del folk polifonico nordico, da sempre uno dei miei generi preferiti, e allo stesso tempo ben distaccato dalle produzioni simili non-scandinave. La produzione merita una nota di merito: il mix è particolarmente azzeccato (e non è facile dare equilibrio a tutti quegli strumenti), e la registrazione è più che buona. Insomma, consideratene la brevità e fate la vostra scelta: se in Aisling c’erano potenzialità, in Tràth na Gaoth queste potenzialità sono esplose di colpo, e se davvero hanno intenzione di produrre un CD full-length sulla stessa lunghezza d’onda di questo, state pur certi che vi troverete di fronte a un capolavoro del genere. E non vedo proprio l’ora.

TRACKLIST:

1 – Memories of a Timeless Vision
2 – Laoìdhann Fogharach Na Dubachas
3 – The Shining Darkness (Omega)

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