Recensione: Two Worlds

Di Nadia Giordano - 17 Dicembre 2015 - 7:00
Two Worlds
Band: Fake Healer
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2015
Nazione:
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72

I Fake Healer sono un gruppo italiano nato nel 2014 dalle ceneri dei Frozen Tears, band fiorentina attiva nel periodo 2000-2009.

Quello che i cinque metallers propongono in “Two Worlds” è un heavy metal di stampo classico con influenze hard rock ottantiane che a tratti ricordano i Judas Priest, in particolar modo la voce del cantante Alessio Taiti (ex-Frozen Tears) ma anche i Riot di “Warrior”.

Ciò nonostante, questi veterani del metal hanno cercato di donare una propria identità a tutti ed otto i pezzi di questo debut album, merito anche delle chitarre di Leonardo Taiti (Frozen Tears, Dust Devil), Simone Cocco (Juglans Regia, Frozen Tears, Dust Devil), del basso di Massimiliano Dionigi (Juglans Regia, Frozen Tears, Dust Devil) e della batteria di Filippo Ferrucci (Weirdream, Dragonia). 

Come detto precedentemente, i Fake Healer ripropongono, ad un primo ascolto, un metal classico, che non ha bisogno di tanti discorsi e fronzoli, ma viaggia su binari che ogni amante del genere conosce alla perfezione.

Quello che fa veramente la differenza è il contributo personale che i cinque hanno voluto dare agli arrangiamenti, in modo tale da poter mettere in luce le proprie qualità musicali maturate negli anni.

Questo lo si evince già dalla opener “Justice Within”, chiara, diretta, schietta e dal ritornello molto orecchiabile che apre la strada alla successiva “Lonewolf”, in cui le due chitarre costruiscono la base portante dell’intero brano e su cui il basso di Massimiliano può dimostrare, nella sua essenzialità, la sua formidabile tecnica.

Arriviamo quindi alla titletrack “Two Worlds”, dove fa la sua apparizione Chiara Luci (Seventh Seal), una proposta interessante ma forse meno persuasiva nel chorus rispetto alle due precedenti.

In “Land Grabbing” è invece Filippo a prendere in mano le redini del gioco, grazie alla ritmica convincente che ben si intreccia con il lavoro svolto dalle chitarre di Leonardo e Simone.

In “The Machinist”, vengono smorzati un po’ i toni, grazie anche alle ritmiche ben soppesate che riescono a concedere al singer una maggior interpretazione del brano. Con l’aggressiva “Rats in the Den” ritorniamo alle sonorità già proposte precedentemente, con un cambio di toni solo nel refrain centrale.

Altri special guests in “Killing the Pain”, Alessio Gori che si affianca alla voce del cantante e Pasquale Bianco alla chitarra. 

Concludiamo con “Loud n’ Proud”, un omaggio ai Judas Priest sotto tutti i punti di vista…

Sebbene questo genere di metal sia ormai superato, gli affezionati del caro e vecchio heavy troveranno nei Fake Healer un’ancora di salvezza, quella vena nostalgica tanto agognata. 

La componente tecnica e l’ispirazione ci sono tutte, ora manca solo la spinta necessaria per fare il salto di qualità. 

 

Artwork: La copertina è stata curata da Markus Vesper, artista tedesco già noto ai più per i suoi lavori, tra cui quelle dei Manilla Road.

 

 

Nadia “Spugna” Giordano

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