Recensione: Unatoned

Con “Unatoned“, i leggendari Machine Head incastonano nella loro discografia l’undicesimo album in studio. Con una media di un disco ogni tre anni, la band dimostra di essere ancora una delle forze più vitali del metal moderno, soprattutto considerando la grande evoluzione stilistica che li ha visti passare dal post-thrash, al thrash-groove, fino a sconfinare in territori nu-metal arricchiti di metalcore. Se c’è una cosa che non si può non riconoscere al quartetto guidato dal sempre ispirato Robb Flynn, è la totale autonomia artistica, mai orientata ai cliché del momento, ma sempre fedele alla propria visione.
Pubblicato il 25 aprile 2025 per Nuclear Blast, “Unatoned” segna una nuova fase della carriera della band. Arricchita dall’ingresso del chitarrista Reece Scruggs (ex-Havok, Monolith), lasciando volutamente fuori dalla valutazione tutta la loro prima era produttiva, la band propone un lavoro stilisticamente differente dal precedente “Of Kingdom and Crown” e ancor di più rispetto a “Catharsis” del 2018, album che aveva mostrato tratti troppo morbidi, una direzione che i fan non si aspettavano dopo la furia sonora di “The Blackening“. Pur essendo un disco relativamente breve (42 minuti scarsi), “Unatoned” è caratterizzato da innesti post-thrash e groove che riportano la band su un terreno di grande personalità, riscoprendo un suono che ormai appartiene alla loro essenza.
Nato durante i lunghi tour internazionali, scritto tra hotel e backstage, l’album cattura la vitalità dei Machine Head, una band che non ha mai smesso di combattere, ma che sembra ora attingere a quel passato che ha sempre garantito loro una potenza unica. Sebbene la componente nu-metal sia ancora presente, il fatto le melodie siano un po’ meno “sdolcinate” e più “sofferenti” rispetto a certi canoni del modern-metal, rende il disco profondo e coinvolgente, sia a livello di groove, sia a livello emotivo. Il disco miscela sapientemente groove metal e post-thrash, senza rinunciare a momenti più introspettivi e melodici e propone, finalmente, una raffica di soli aggressivi e veloci come non se ne sentiva da tempo. Brani come “Atomic Revelations” colpiscono per immediatezza e potenza, mentre pezzi come “Not Long for This World” e “Scorn” mostrano un lato più sensibile e malinconico, rivelando una gamma emotiva credibile e sincera.
La “vissuta” autenticità del disco emerge anche dalla scelta di coinvolgere Anders Fridén, Cristina Scabbia e Trevor Phipps su “These Scars Won’t Define Us“, brano nato durante il tour in compagnia di In Flames, Lacuna Coil e Unearth, band relative ai nomi degli artisti citati (testimonianza evidente sul video di “Outsider“). La collaborazione è nata spontaneamente grazie alla forte intesa che si è sviluppata tra le band ‘on the road’ e il fatto che questo scambio di energie avvenga in un contesto così diretto e vissuto rende il disco ancora più “reale” e potente.
La produzione, curata dallo stesso Robb Flynn insieme a Zack Ohren, è potente e pulita, mentre il mix di Colin Richardson (già al lavoro con band che un certo mood ‘moderno’ nel metal lo hanno definito nel tempo come Fear Factory, Slipknot, Bullet for My Valentine, Trivium, DevilDriver, Chimaira e As I Lay Dying) dona all’intero lavoro un suono appunto moderno, senza però sacrificare la ruvidità necessaria a mantenere il carattere distintivo della band. Se il tutto fosse stato reso troppo “lisciato”, il risultato avrebbe rischiato di sembrare più adatto a una colonna sonora di un anime giapponese particolarmente aggressivo. L’artwork, realizzato ancora una volta dall’artista grafico nonché frontman degli Septicflesh, Seth Siro Anton, riflette perfettamente l’atmosfera del disco: introspettivo, aggressivo e soprattutto, tormentato.
In definitiva, “Unatoned” non è solo una conferma della sopravvivenza dei Machine Head, ma la dimostrazione che, anche dopo oltre trent’anni di carriera, Robb Flynn e i suoi nuovi compagni di viaggio hanno ancora molto da dire, e soprattutto, tantissimo di ciò che pulsa loro dentro, da urlare al mondo. La cosa che più soddisfa, piaccia o no, è che questo nuovo disco dimostra ancora una volta la costante evoluzione di una band che, pur avendo avuto un periodo di instabilità artistica, sta lentamente ritrovando una dimensione che ha sempre caratterizzato la sua grande abilità espressiva, sia su disco che on stage, con una carica di energia che persino le band più giovani potrebbero invidiare. In fondo, i Machine Head continuano a dimostrare che l’attitudine è l’unica cosa che conta, indipendentemente dalla strada che si sceglie. Piaccia o no, onestamente “Unatoned” non incontra i miei gusti, ma la coerenza che dimostra e soprattutto la voglia di continuare su una certa strada non rinnegando il passato, è segno di coerenza, e va rispettata.