Recensione: Underwater Darkness

Di Alessandro Rinaldi - 22 Settembre 2025 - 13:31
Underwater Darkness
Band: Winternius
Etichetta: Dusktone
Genere: Black 
Anno: 2025
Nazione:
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Quello dei Winternius è un progetto che è nato nel 2016 a Genova – città che, come vedremo più avanti, avrà un peso specifico sul tema dell’album che andremo ad analizzare. Al loro primo full-length (2020), intitolato Open the Portal, segue un EP, Kultra Nightmares e dopo quasi cinque anni, tornano con Underwater Darkness.

Il quintetto ligure è composto da Jason Ülfe alla voce, Ste Hate e Roby Grinder alle chitarre, Ric Rancore al basso e Lord of Fog alla batteria.

Il tema di  Underwater Darkness è quello marino, come si evince dal bellissimo artwork, che raffigura una nave che ricorda molto una versione più tetra de L’Olandese Volante di Davy Jones: i colori molto scuri, richiamano, le profondità del mare. Il disco è composto da otto brani, per una durata complessiva di 40 minuti. Il quintetto, propone un black metal classico, di scuola anni ’90, con forti tinte melodiche, in cui è facile scorgere delle influenze prog ed heavy che lo avvicinano ai primi Borknagar. E in un certo senso, è questo il leitmotiv del disco: una base molto ruvida, in cui ci sono preziosi fraseggi e assoli molto curati che si muovono tra il prog e le sonorità più curate dell’heavy anni ‘80, con linee vocali convincenti che lasciano spazio al clean di Jason Ülfe.

Si parte con Intro / Unholy Black Ship in cui si materializza il tema marino, con il fragore delle onde intervallato da un canto che richiama quello delle sirene, prima di assaggiare la velocità delle sei corde, che partono decisamente forte, con pregevoli assoli puliti. Se di The Beacon apprezziamo il riffing e l’assolo, di Dark Mirage, il cantato clean, che ricorda proprio quello di Simen Hestnæs (ICS Vortex), e la struttura melodica, che richiama molto quello della ciurma. Gods of Hunger ha la forza degli anni ’80 con un ritornello orecchiabile e convincente, The Abyss ha un’intro sottile, delicata e ci conduce per mano nelle profondità del mare, dove si annida l’oscurità, che ben presto si materializza attraverso un black metal ruvido e spigoloso, che caratterizzerà anche i successivi Black Evil Cormorants e Vile Vortex, più ritmato rispetto ai precedenti, in cui si apprezza maggiormente l’influenza dei Borknagar. Chiude Global Alien War, un brano che già dalle prime note palesa una forte intensità, presto sommersa dal riffing convincete e orecchiabile sul quale si sviluppa la canzone, con un ritornello molto valido, tra l’epico e il melodramma.

Underwater Darkness è un disco piacevole come il fragore delle onde che si infrangono sullo scoglio d’inverno: ha una sua luce, ma anche, e soprattutto, una sua oscurità. E’ un album vivo, che mostra un talento ancora acerbo della band, con del potenziale a nostro avviso non ancora esplorato ed espresso e quindi, da  tenere sotto controllo.

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