Recensione: Vårjevndøgn

Di Alessandro Marrone - 6 Ottobre 2020 - 0:00
Vårjevndøgn
Band: Isengard
Etichetta: Peaceville
Genere: Vario 
Anno: 2020
Nazione:
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70

Vårjevndøgn, ovvero Equinozio di Primavera. È da qui che a 25 anni di distanza dal debutto discografico degli Isengard, riprendiamo il discorso lasciato da uno degli artisti black metal più prolifici, una figura che nonostante le forti controversie vissute a causa di ben note scelte operate dalla sua band primarie – i DarkThrone – resta punto di riferimento per qualsivoglia collegamento tra i giorni nostri e gli anni in cui il black metal era giovane. Gli Isengard sono una delle sue tante creature, una one man band che ha stilisticamente allontanato i propri passi dal black in favore di sonorità e tematiche prettamente nordiche e che abbiamo imparato a definire viking metal.

Non c’è niente di più “trve” di una capanna dispersa nel bosco, se poi di fronte alla porta d’ingresso troviamo la singolare figura del drummer/singer-polistrumentista, nonché impiegato dell’ufficio postale locale Fenriz, ecco che siamo subito catapultati indietro nel tempo. Già, esattamente dove eravamo rimasti con l’evocativo Høstmørke. Il fatto è che nonostante si tratti sostanzialmente di canzoni “rimaste fuori” e quindi lasciate stagionare su qualche nastro in qualche capanna sperduta nelle fredde lande scandinave, il sound delle tracce di Vårjevndøgn è completamente differente. Questa è una buona notizia, ma soltanto in parte, soprattutto se vi stavate già sfregando le mani apprestandovi a farvi catturare dalle gelide e selvagge atmosfere create da Fenriz anni or sono.

Sin dai primissimi minuti, nonostante la componente lo-fi faccia fondamentale e chiaro riferimento al songwriting dell’autore, i brani si presentano con strutture più tradizionali, senza quasi mai lasciare spazio a momenti atmosferici e preferendo invece riffing che concedono a Fenriz di esibirsi in una sorta di “Norway’s got talent” in un tributo incrociato tra Rob Halford e King Diamond. A leggerla così sembra una situazione pessima, ma a dirla tutta funziona abbastanza e con “Dragon Fly” e la quasi Sabbathiana “The Fright” percorriamo l’innevato bosco del nord accompagnati da un lavoro tutto fuorché Viking Metal, ma piuttosto Heavy Doom, se proprio siete a caccia di definizioni.

La successiva “A Shape In The Dark” è senza dubbio uno degli episodi meglio riusciti e nonostante la qualità non certo al passo con il black metal underground contemporaneo – che poi realmente ne avremmo avuto bisogno? – mostra il lato più melodico e malinconico di Fenriz, sottolineato anche nella più lunga “Slash Of The Sun”. Sul finale, spetta a “The Light” affilare i denti e guidarci verso la conclusiva “The Solar Winds Mantra”, colonna sonora ideale per osservare l’infinito abbraccio della natura più incontaminata, quella che a distanza di 25 anni trovi sempre al medesimo posto, intatta.

Per quanto riguarda Vårjevndøgn, non si può definire come la più logica continuazione di quanto sentito in precedenza, questo neppure parlando dal punto di vista temporale, ma se prima di cominciare a leggere sapevate di chi stessimo parlando – sì, perché Isengard = Fenriz – allora ve lo consiglio. Oltre il sound abbiamo una buona dose di heavy blackizzato che ad essere sinceri funziona più delle escursioni punk di determinati lavori dei DarkThrone. Un altro capitolo del nostro postino preferito se ne va sullo scaffale e se non sarà apprezzato a dovere adesso, lo farà sicuramente tra qualche tempo, quando artisti di questo tipo ci mancheranno tremendamente.

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