Recensione: Viva Emptiness

Di Francesco "Caleb" Papaleo - 28 Ottobre 2003 - 0:00
Viva Emptiness
Band: Katatonia
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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90

“Skip into the Emptiness” In poche parole questo è il senso ultimo dell’album. I Katatonia non sono dei mostri di tecnica sia strumentale che compositiva, non s’avvicinano nemmeno lontanamente alla teatralità di bands come My Dying Bride o Theatre of Tragedy, anzi, non c’entrano proprio nulla, non pescano nel torbido hard rock oscuro e intriso di blasfemia degli anni settanta sulla falsariga di Black Sabbath o Black Widow come hanno fatto in tempi recenti Anathema ed altri, il loro suono, le loro armonie, i loro testi non s’ispirano a nessun Byron o Poe, il loro genere non è facilmente classificabile: è gotico perchè certamente trae ispirazione da una pesantezza esistenziale poco comune, per certi versi è molto easy ed heavy ma senza mai strafare, insomma: i Katatonia sono un ibrido di generi e di umori e ce li ritroviamo ogni volta con un lavoro migliore del precedente. Skip into the emptiness…Saltate nel vuoto… è il paradigma che appare dopo l’intro nel loro sito ufficiale e le sensazioni che comunicano i suoni di “Viva Emptiness” sono proprio queste, vuoto ed apatia, disperazione e sfinimento. Non vorrei parlare di ogni canzone perchè finirei per sminuire l’intero valore dell’album che, di per se, globalmente, io ritengo il mio preferito per tutto questo 2003 che sta passando. Cito solo tre canzoni, a mio parere quelle che danno un pieno senso a chi si avvicina per la prima volta alla band e vorrebbe capire di che cosa si tratta: La prima è “Evidence”. La formula è semplicissima, riff che si ripete all’infinito, di una tristezza a dir poco disarmante, voce atona, chitarre a cascata, inespressività portata all’estremo, eppure è difficile esprimere lo stato d’animo che condiziona questo brano e più di questo un altro, vera gemma di tutto l’album “Criminals”. Anche qui lo standard è lo stesso: chitarre a cascata, voce atona, riff che si stampa nel cervello quanto è triste ed atterrente, eppure una nota in più rispetto al precedente c’è, la rabbia, la disperazione i “dreams of violence”, i sogni di violenza come urla il cantante, che sembra narrare le gesta di un vecchio guerriero ormai in fin di vita che piange i giorni radiosi e sereni. L’ultimo brano che cito, intricatissimo nel suo incedere e che ricorda i primissimi Katatonia (quelli di “Dance of december souls” tanto per intenderci) è “Ghost of the sun”, dove, accanto ad arpeggi sempre diversi, cantato che muta, disperazione, nostalgia e vuoto c’è anche lo spazio per un cattivissimo ritornello che fa da corona ad un brano che occorre di più di un ascolto per apprezzarlo appieno ma che certamente io ritengo il migliore di tutte le tracce. Questa non mi sembra tanto una recensione nel senso classico del termine proprio perchè vorrei che tutti coloro che la leggeranno ascoltassero per intero l’album per capire il peso immenso di quest’opera che non ha nulla da invidiare alle bands che ho all’inizio citato ma che dimostra che non solo con la tecnica e le trovate sceniche magistrali si fa buona musica, ma anche con feelling, sentimento….proprio quello che trasuda da ogni nota, angosciante di questo cd…

  1. Ghost of the Sun
  2. Sleeper
  3. Criminals
  4. A Premonition
  5. Will I Arrive
  6. Burn the Remembrance
  7. Wealth
  8. One year from Now
  9. Walking by a Wire
  10. Complicity
  11. Evidence
  12. Omerta
  13. Inside the City of Glass

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