Recensione: Welcome To The Future

Di Fabio Vellata - 27 Aprile 2025 - 15:00
Welcome To The Future
Band: H.E.A.T
Etichetta: earMUSIC
Genere: AOR  Hard Rock 
Anno: 2025
Nazione:
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89

Bel guaio.
Per modo di dire, si intende. Gli H.E.A.T per un recensore sono un’arma a doppio taglio.
Si rischia di non risultare credibili nel parlarne sempre bene. Eppure, tolto l’incomprensibile “Into the Great Unknown” del 2017 in cui avevano dato l’impressione di essere andati completamente fuori giri, si è sempre trattato di una band perfetta. Quasi spaventosa per resa, potenziale e capacità di mettere sempre insieme le giuste melodie con quella grinta verginale di matrice anni ottanta che ha qualcosa di romantico, antico ma al tempo stesso attualissimo.

Partendo da lontano, dagli impressionanti esordi del 2008 con il perfetto disco omonimo, l’ingranaggio costruito da Jona Tee ha sempre funzionato a meraviglia, con esiti tali da consegnare nelle mani dalla band di Vasby lo scettro di unici eredi dei leggendari Europe.
Di acqua sotto i ponti da allora ne è passata parecchia, gli album si sono succeduti ed il microfono non ha avuto sempre lo stesso interprete. L’avvicendarsi Kenny LeckremoErik Grönwall e poi di nuovo Leckremo, non ha in alcun modo compromesso l’efficacia di una proposta musicale che – tolto quel caso insensato del 2017 – non ha mai tradito le aspettative.

Oggi la concorrenza è divenuta più intensa ed agguerrita. Sulla scena del rock melodico sono comparsi altri soggetti di massimo valore: Nestor, Remedy e Nightflight Orchestra sono i primi che ci vengono in mente. Senza dimenticare Eclipse e W.E.T., band che, nonostante le critiche di chi probabilmente ha un po’ perso la capacità di ascoltare con attenzione e profondità un album, continuano a porsi su livelli artistici altissimi ad ogni loro uscita.
Eppure nonostante i tanti potenziali rivali sulla piazza, quello inciso in un disco degli H.E.A.T è anche questa volta quanto di meglio si potrà probabilmente ascoltare nel corso di tutto l’anno solare. Parliamo ovviamente di melodic rock.

Welcome to the future” è un disco ruffiano. Che di “futuribile” non ha una beata mazza, ma va a riprendere senza vergognarsi tutta la poetica ottantiana che riesce a mettere in musica. Con cori, tastiere, melodie e ritornelli alla “Flashdance” tipici dell’epoca dorata. Riuscendo a risultare però attualissimo. Credibile, vitale e cazzuto come un puledro che scalcia a tutto spiano.

Pezzi da capogiro. Almeno quattro. Quattro brani che valgono un disco per intero. Con l’aggravante che anche le restanti otto, sono canzoni che sanno di eccellenza.
Disaster” è subito delirio: Leckremo urla come un indemoniato, il volume è altissimo e la velocità che esce da una composizione che potrebbe aver scritto il compianto John Sykes è di quelle che ti mettono immediatamente il buon umore.
Poi arriva il primo “colpo gobbo”. “Bad Time for Love” è un brano dal potenziale altissimo, con un coro totalizzante ed un incedere irresistibile, doppiato dalla deliziosa “Running to You”, altro ritornello che sgomma e rimbalza all’impazzata.

Highlight numero due: “Call My Name”. Entriamo nella stratosfera: forse solo qualche volta i sontuosi Nightflight Orchestra di “Sometimes the World is not Enough” sono arrivati così lontano negli ultimi anni. Un pezzo delzioso, con un coro che uscisse all’Eurofestival probabilmente verrebbe eletto vincitore senza nemmeno ascoltare gli altri concorrenti.

C’è ancora tantissimo altro. “In Disguise” sembra provenire da Rocky III e potrebbe tranquillamente essere un classico dell’epoca ripreso nel 2025. Ma poi… incanto numero tre: “The End”.
Altro giro, altro ritornello che si incunea nella testa e fa scattare dosi infinite di serotonina nemmeno fosse una colata di cioccolata.
Al volo si presenta la meraviglia numero quattro. “Rock Bottom” è la composizione che gli Europe non azzeccano più da vent’anni e che ci fa apparire Leckremo finalmente come il singer di razza pura che effettivamente è. Al netto di inutili paragoni con l’incontenibile folletto Grönwall (che bello sarebbe vederli insieme!).

I pezzi top sono finiti. Ma la grande musica prosegue. “Children of the Storm” amplifica la veemenza delle tastiere di Jona Tee, al solito irrinunciabili nella confezione del gagliardo suono degli H.E.A.T, mentre “Losing Game” è un tempo medio scintillante che sa di estate e finestrini abbassati. Altro ritornello che riempie l’aria e fa sembrare il mondo un posto migliore.
Paradise Lost” mantiene sempre alti i giri per portare il disco alla conclusione. “Tear it Down (R.N.R.R.)” è un passaggio in cui Leckremo sbraita come fosse Ronnie James Dio e dona un inatteso tocco epico al cd, prima della frizzante “We Will Not Forget”. Che volendo, potrebbe tranquillamente essere l’highlight numero cinque, visto l’ennesimo ritornello strappaorecchie e l’incedere irresistibile.
Il quale, una volta concluso, spinge immediatamente a ripartire daccapo per riassaporare un viaggio ricco e carico di meraviglie da scoprire sempre di più ad ogni nuovo giro.

Parole in libertà e concetti che poi si traducono in due sentenze che abbiamo già espresso poche righe più indietro.
Gli H.E.A.T con la loro musica, l’entusiasmo che veicolano, la gioia di vivere che trasmettono sono tra le poche band che riescono, concretamente, a far sembrare il mondo un posto migliore.
Di conseguenza, “Welcome to the Future” può essere riassunto descrivendolo come quanto di più soddisfacente si possa trovare ad oggi nel microcosmo del melodic rock. O almeno, limitatamente a questo 2025 giunto alla primavera inoltrata.
Non poniamo limiti alla provvidenza, via…

Se questo sarà il punto apicale di una carriera ricca di successi lo sapremo solo tra un po’.
Certo è che rimanere freddi di fronte a questa ennesima prova di bravura è decisamente arduo.
E fare di meglio, obbiettivamente complicato.

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