Recensione: Wooden Box

Di Fabio Vellata - 15 Luglio 2020 - 0:01
Wooden Box
Band: Tuple
Etichetta: AOR Heaven
Genere: AOR  Hard Rock 
Anno: 2020
Nazione:
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78

È un buon disco quello che ci offre Tommi “Tuple” Salamela. Senza dubbio una scoperta interessante.

Personaggio che entra dritto nella vasta categoria del “chi era costui” (non ce ne vorrà il grintoso singer finlandese, ma dubitiamo che siano in molti i lettori ad avere conto preciso della sua biografia), Tuple è un cantante noto in patria principalmente per essere il vocalist dei metallici Tarot. Una band che – quella sì – una qualche memoria positiva la può suscitare, in virtù di una produzione discografica di buona qualità. Ma pure per essere stata il primo gruppo fondato dal ben più celebre Marco Hietala – attuale anima dei Nightwish – nel lontano 1985.

Una carriera trascorsa all’insegna dell’heavy rock classico per l’interprete dalla voce caratteristica, definibile come un curioso miscuglio tra Biff Byford dei Saxon e Bernie Shaw degli Uriah Heep. Il singer nordico, a dispetto però dei trascorsi spigolosi, per il primo disco solista in carriera ha scelto la veste insolita di un AOR molto tastieroso e melodico, aperto a sprazzi orecchiabili, edulcorati e di facile interpretazione.
Trattandosi di un lavoro “autobiografico”, quasi a voler in qualche modo rendere più morbidi ed ingentiliti i contorni di una vita da rocker incallito, spesa tra alcol, eccessi e musica a tutto volume.

Incipit ottantiani, riferimenti melodic rock, keys in evidenza perpetua ed un occhio di riguardo all’easy listening accomunano “Wooden Box” più ad un disco di Poodles e Talisman che non alle ruvidezze dell’heavy tradizionale cui Tuple è devoto sin dagli esordi.
Arricchisce l’offerta anche un risvolto epico, fatto di atmosfere un pizzico drammatiche (in senso molto ampio) che di tanto in tanto prende piede ed emerge più o meno nitidamente. Evidente volontà di garantire profondità alla narrazione della storia con un che di cinematografico. Scelta tutto sommato coerente per “vestire” un album che, come riferito, è da intendere come colonna sonora di un concept decisamente personale.

Mantenendo alto il tasso di pronta fruibilità in modo piuttosto omogeneo, “Wooden Box” presenta le intuizioni migliori nella prima parte della tracklist, fornita di buone idee, ritornelli ben congeniati ed in generale di un livello compositivo che unisce spessore e piacere d’ascolto. Pezzi come la stessa “Wooden Box“, “Demon Alchol”, “Kryptonite“, “In These Altitudes” e “Fucking Beautiful” entrano in circolo con facilità, facendosi apprezzare immediatamente.
Per qualcuno la voce di Tuple potrà apparire, dapprincipio, un ostacolo. Stridula e nasale non è esattamente un’ugola di seta. È tuttavia solo un “attimo”: dopo qualche momento utile a familiarizzare, risulterà come un elemento ben contestualizzato e quasi essenziale.

Molto buona la prima parte del cd, dicevamo. Altrove, in effetti, il songwriting diventa più prevedibile e scontato. Ma non al punto da definirsi sgradito: anche nelle battute conclusive sono reperibili sprazzi di buona musica in cui il melodic rock di evidente radice scandinava è naturale padrone della scena.
Too Far Gone” e “Rocking Chair” sono, ad esempio, ottimi momenti di un rock melodico, veloce ed immediato. Suonati con piglio e mestiere, oltre che prodotti ed arrangiati – un po’ come tutto l’album – in modo assolutamente consono ad una uscita di rilievo del settore.

Preso in esame per puro caso e semplice curiosità (il nome di mr. Tuple era sconosciuto anche al sottoscritto, tocca ammetterlo), ci siamo trovati con una piacevole scoperta per le mani.
Non un disco determinante o di caratura per forza superiore, pur tuttavia un lavoro a tratti molto interessante che riserva qualche sorpresa nascosta.
Perché no, insomma. Tra le tante uscite di nomi più roboanti, l’idea di dare un’occasione anche all’album solista di questo oscuro artista finlandese può rivelarsi azzeccata.
In fondo, la buona musica vive e si genera ovunque: basta volerla cercare…

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