Recensione: Words For Empty Spaces

Di Daniele D'Adamo - 18 Giugno 2013 - 16:16
Words For Empty Spaces
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Anno: 2013
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Se qualcuno pensasse che il basso, nel metal estremo, sia spesso e volentieri uno strumento di semplice accompagnamento musicale oppure un mero segnatempo assieme alla batteria, è necessario allora che ascolti, e per bene, gli Psychotic Despair e le evoluzioni virtuosistiche che compie Adriano (Neri), ex bassista dei Novembre. Evoluzioni che, tuttavia, ben lungi dall’essere uno sterile esercizio a sé stante, formano il tessuto attorno e assieme al quale si sviluppa il sound della band ceca.

La quale, assieme a più di una realtà presente nell’Europa dell’Est (per esempio Antigama) – quasi se ci fosse una predisposizione genetica, per ciò – , si diletta nella proposizione di un grindcore intelligente e forbito, ricco di tecnica e di contaminazioni varie che pescano, ovviamente, in generi extra-metallici altrettanto ricercati come il più volte citato jazz. Senza esagerare con le divagazioni al di fuori di un contesto ove l’estremismo sonoro la fa sempre e comunque da padrone, fra la furia devastatrice delle ondate di blast-beats e l’aggressività di un growling roco e rabbioso. Senza lasciare da parte, semmai ce ne fosse stato il dubbio, l’aspro e arcigno fronte eretto dall’avanguardia armata di ascia, formata da un duo – Prewith/Petr – che incarna nel modo più ortodosso il rifferama caratteristico dell’hardcore.  

L’abbondante dose di tecnica presente nel quintetto di Praga consente ad esso di sviscerare un sound immune da pecche, che la produzione curata dalla formazione medesima rende pieno e corposo. Quasi in controtendenza, cioè, alla filosofia grindcore, che esige suoni scarni e privi di alcun fronzolo, atti esclusivamente a triturare le membrane timpaniche dei fan; con ciò definendo uno stile abbastanza personale e riconoscibile, seppur compreso entro i limiti di territori ben conosciuti. L’idea di rimpolpare un po’ tutte le frequenze, con un occhio di riguardo verso quelle più basse, dona a “Words For Empty Spaces” – terzo full-length dei Nostri in ordine di tempo dopo “Psychotic Despair” (2007) e “Personal Identity” (2010) – un sapore piuttosto gustoso e carnoso, che non mostra la corda nemmeno in occasione dei momenti nei quali i BPM diventano davvero tanti.     

Pur non esagerando con dissonanze e complicazioni varie, gli Psychotic Despair non possono certamente dimenticare di essere un ensemble preparato e attentissimo all’esecuzione dei propri pezzi. Una questione insita nel loro modo di vedere la musica che da un lato la rende una materia seria e difficile, da affrontare con la massima professionalità possibile, dall’altro non può che portarla ad essere filtrata con troppa razionalità. Viene meno, cioè, quell’aria d’immediatezza, di spensieratezza, di brutale genuinità che, da sempre, caratterizza il grindcore. A volte talmente voglioso da non prendersi troppo sul serio da eccedere in tutto e su tutto (porn grind, goregrind). Fattispecie, questa, che non rientra nelle mire di Dan e compagni, la cui attitudine non pare spostarsi mai da un approccio che non lasci nulla né al caso né all’improvvisazione. Chiaramente questo non rappresenta, in sé, un difetto, se osservato con occhio freddamente clinico alla ricerca di errori realizzativi o vuoti compositivi. Identifica, invece, un modus operandi – per quanto riguarda la stesura dei brani – foriero di stanchezza e, quindi, di potenziale noia. Tanto è vero che anche a passare l’album più e più volte nel lettore, non rimane molto, in testa, se non una strumentale, “Lost Words”, che lascia un po’ più di spazio all’emotività. Senza infamia né lode la cover degli Asesino (“Carnicero”) che, nondimeno, ha il merito di far intuire cosa sarebbe potuto essere “Words For Empty Spaces” con una mano di… sporcizia ben data.     

“Words For Empty Spaces” che, in virtù di una manifattura esemplare e di un sound eccellente, raggiunge la sufficienza senza tuttavia andare molto oltre. Il grindcore è, in primis, divertimento sfrenato e, forse, affrontarlo in modo austero ne soffoca la vivacità, rendendolo piatto e pressoché privo di spunti memorabili.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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