Recensione: Zero Gravity (Rebirth and Evolution)

Di Luca Montini - 6 Luglio 2019 - 0:30
Zero Gravity (Rebirth and Evolution)
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2019
Nazione:
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80

Rinascita ed evoluzione in un volo a gravità zero. L’avventura di Luca Turilli e Fabio Lione riparte da un lungo Farewell Tour terminato lo scorso anno, in occasione del ventennale di “Symphony of Enchanted Lands”, disco che nel 1998 sancì in maniera inequivocabile il successo dei triestini Rhapsody nel panorama del metal mondiale e dando il via ad un periodo particolarmente felice per il metallo tricolore. Da allora i due non hanno mai smesso di misurarsi con sfide sempre nuove oltre alle due saghe targate Rhapsody (con e senza il suffisso of Fire): il primo con diversi progetti solisti (Luca Turilli, Dreamquest e LT’s Rhapsody), il secondo praticamente ovunque, con un presenzialismo che gli è proprio, mettendo la firma sui lavori di un numero ormai incalcolabile di band, per molte delle quali in qualità di guest, ma anche come cantante titolare per lunghi periodi in gruppi di prima categoria, dai Vision Divine ai Kamelot agli Angra, coi quali la collaborazione continua tuttora. Turilli e Lione, due nomi in perenne tensione tra identità e rinnovamento, alla ricerca di un sé artistico che forse non troveranno mai – ma è nella stessa ricerca la chiave di tanta ispirazione: principalmente in studio ed alla composizione per il primo, sui palchi di tutto il mondo per il secondo, con i suoi vibrato ormai leggendari. 

Through the shape of the square and the circle 
I will look to realize who we are…

Il progetto “Zero Gravity (Rebirth and Evolution)” nasce proprio durante già citato tour di addio, con la band composta da praticamente tutti i membri dell’ultima formazione pre-split tranne il tastierista Alex Staropoli, con il ritorno tedesco Alex Holwarth alla batteria, ed i due francesi Dominique Leurquin alla chitarra e Patrice Guers al basso. Una lineup che sul forum di Truemetal è stata ironicamente nominata Rhapsody Of Tutti Tranne Staropoli: con il tastierista e fondatore della band triestina attualmente impegnato con i suoi “nuovi” Rhapsody of Fire.
Stando a quanto dichiarato dagli stessi Turilli e Lione, durante le date del tour è nato il desiderio di comporre di nuovo qualcosa assieme, ed il primo moniker ideato è stato proprio “Zero Gravity”, mutato poi in Turilli / Lione Rhapsody per ovvie ragioni di marketing… difficile presentarsi sul mercato con un nuovo brand. Da qui è seguita una campagna di crowdfunding su Indiegogo molto partecipata, che a scatola chiusa ha portato ben 61.416€ alla band, che si è potuta così permettere un lungo periodo per le registrazioni. Ma come suonano le composizioni di questo nuovo progetto?

Sgombriamo subito il terreno dai dubbi: Turilli al pentagramma ha sempre una marcia in più. Mai emulo di sé stesso (del resto avrebbe potuto copia-incollare “The Ancient Forest of Elves” per altri dieci anni), sempre più ispirato da tematiche filosofiche e trascendentali, stavolta strizza l’occhio anche ai Queen in alcuni passaggi, con liriche e citazioni che vanno da Leonardo Da Vinci (nel cinquecentenario della sua morte) alla celeberrima poesia “L’Infinito” del recanatese Giacomo Leopardi (nel bicentenario della sua composizione), fino a Giuseppe Verdi. Il tutto impreziosito dall’importante co-produzione di Simone Mularoni ai Domination Studios di San Marino, per un sound veramente ricco e pieno.
Lo stile proposto può facilmente essere ricondotto a quanto già sentito negli ultimi anni con i Luca Turilli’s Rhapsody, ancora più progressive e con la voce di Fabio Lione decisamente ispirata. Di nuovo tanti layer sonori sovrapposti, con i cori sempre ben dosati, momenti etnici più meditativi che si alternano a frangenti più elettronici, come nel singolo “D.N.A. (Demon and Angel)” in duetto con Elize Ryd degli Amaranthe. Alle chitarre il duo Turlli-Lerquin dimostra il solito affiatamento alternandosi nei solos, con il primo sempre più indirizzato anche verso tastiere e pianoforti; forse un giorno lo vedremo dietro una tastiera anche sul palco.
Non mancano i momenti power più tirati e bombastici, come il primo singolo “Phoenix Rising”, che parte con la registrazione del lancio dell’Apollo 11 che avrebbe portato Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla luna nel 1969, o la velocissima “I Am” con un Lione irrefrenabile in duetto con Mark Basile dei DGM. Molto intensi anche il singolo “Zero Gravity” e la ballata in italiano “Amata Immortale”, ispirata da un celebre manoscritto di Ludwig van Beethoven “lettera all’amata immortale” (Briefe an die unsterbliche Geliebte), con una bella strofa voce e pianoforte che si perde un po’ nel ritornello, con la voce di Lione troppo affossata dalle voci corali. Interessante anche “First Radio Burst”, su un fenomeno fisico legato alle onde radio ancora non spiegato dalla comunità scientifica, in un crescendo di cori ed un’interpretazione molto grintosa di Fabio che ricorda alcuni esperimenti con Vision Divine e Hollow Haze. Una spolverata di Queen negli intermezzi per “Deconding the Multiverse”, con un bell’assolo di Turilli, e nella già citata I Am. “Arcanum (Da Vinci’s Enigma)” è la solita suite finale che da buona tradizione mette assieme, stavolta in soli sei minuti e senza troppe pretese egoiche, cori, elettronica e melodie molto intense. Molto bello il cantato epico in lingua italiana che esplode in un ritornello di grande impatto.
In ultimo, segnaliamo la cover di “Oceano” di Lisa (Sanremo 2003) nella versione digipak, disponibile anche sulle piattaforme di download e streaming digitale, a rimarcare l’amore del duo Turilli / Lione per il cantato in lingua italiana.

All engines running…

Difficile trovare grossi difetti in questo lavoro, frutto di un’ispirazione genuina e disseminato di lampi ed intuizioni talvolta evidenti, talvolta più lontani e difficilmente afferrabili che richiedono diversi ascolti. Chi cercava un disco immediato di spade e incantesimi può rivolgersi altrove. Il percorso delle due anime dei Rhapsody è ormai del tutto complementare ed inconciliabile: da un lato la conservazione, dall’altro l’evoluzione. Turilli e Lione hanno scelto di sperimentare, e penso che dovrebbero continuare a farlo, magari con ancora più coraggio, in un percorso che trae origine da quell’indimenticabile “Prophet of the Last Eclipse” (2002) che tra genialità ed ingenuità ci ha portati ai Luca Turilli’s Rhapsody, fino a quest’ennesima incarnazione di una band che continua a vivere il proprio percorso di ricerca con grande attenzione alle melodie, in un’evoluzione continua che è sempiterna costante della curiosità che ci rende uomini.
 

Luca “Montsteen” Montini

 

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