Recensione: Il Grido Disperato di Mille Bands

Di Nargotrhond - 11 Ottobre 2004 - 0:00
Il Grido Disperato di Mille Bands
Band: Pino Scotto
Etichetta:
Genere:
Anno: 1992
Nazione:
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75

Dopo Seventheaven i Vanadium decidono di prendersi una pausa per dare sfogo ai loro progetti individuali, ed è così che il loro frontman, Pino Scotto (con la collaborazione di Giulio Kaliandro), realizza tra il 1990 e il 1992 il suo primo album solista: “Il Grido Disperato di Mille Bands”. Il disco, il primo in Italiano per Scotto, vanta la partecipazione di musicisti di alto calibro, come l’axeman di Vasco Rossi Andrea Braido, Luigi Schiavone (chitarrista di Enrico Ruggeri) e l’armonicista Fabio Treves, uno dei più grandi bluesman tricolore. Grazie a questo lavoro il carismatico Scotto intraprende un importante tour con il suo “Jam Roll Project” che culmina con la partecipazione al Monsters Of Rock del 1992. Questa esperienza, bisogna dirlo, presentò anche una brutta sorpresa: quella di un’ ingiustificata contestazione di alcuni partecipanti (peraltro limitati a poche unità) che tirarono sul palco sassi e bottiglie, tentando di rovinare la festa ad uno Scotto eccitato e carico come non mai. L’esperienza in realtà, a parte l’idiozia di quei tre o quattro, ha presentato per Scotto una grande opportunità di farsi conoscere come solista. Opportunità che non spreca, visto che di lì a poco gli sarà consegnato nell’ambito della rassegna “Spazio D’autore” il Grammy per l’album e la credibilità del personaggio; alla faccia delle contestazioni!
Ritornando al disco, prima di analizzare le singole tracce, è doverosa una premessa: “Il Grido Disperato di Mille Bands” non vuole confrontarsi con l’hard ‘n’ heavy dei Vanadium, e se è questo che cercate non fa certo per voi. Ciò non significa che Scotto si sia “indebolito”, infatti ha ancora oggi la stessa rabbia e grinta di quando cominciò (…30 anni fa e forse più…), ma è il cantare in Italiano che costringe ad allontanarsi dall’orbita heavy. Il risultato, e ve lo anticipo, è un buon hard rock con un pizzico di blues, ma lo vediamo meglio nel dettaglio delle singole tracce.

“Rock ‘N’ Roll” è la prima e già dal titolo si capisce molto, infatti è puro rock senza se e senza ma. Onestamente non è una delle migliori song del disco, ma l’inizio è piacevole e divertente, poi Braido fa la differenza; insomma Scotto è una garanzia e di lui ci si può fidare. Senza pausa (come è solito fare nei suoi dischi) arriva la seconda: “Dio Del Blues”. L’inizio è armonico e dolce e la chitarra di Braido sembra essere fatta apposta per questa canzone che prosegue con questo ritmo, dolce e blues, fino alla fine. In sintesi è un’ottima canzone, ben suonata, e la voce di Scotto graffia solo quando serve. E’ una delle mie preferite. “Joni Stone” la segue. Il ritmo è buono e le chitarre (c’è anche Ronnie Jackson a dar manforte a Braido) fanno un dignitoso lavoro, ma il complesso è solo sufficiente, niente a che vedere con la precedente. E’ la peggiore dell’album. Se vi cominciano a venir dubbi sulla bontà del disco “Il Grido Disperato di Mille Bands” ve li spazzerà via tutti. La canzone vuole denunciare le enormi difficoltà che incontrano i gruppi italiani nel fare rock nel nostro paese, ricordate la mitica “Streets Of Ranger” dei Vanadium? Il ritmo, le chitarre, Scotto (grintoso come mai nell’album), i cori, tutto funziona al meglio e il risultato è ottimo. “Baby Lupo (Attenti all’Uomo)” è leggermente inferiore, ma qui la voce di Scotto indossa alla perfezione una canzone che è autentico esempio di Rock italiano. Buono l’assolo di chitarra di Schiavone. “Venditi L’Anima (Ma Che Guerra Fai)” è un inno al pacifismo, buon ritmo e la voce di Scotto graffia bene, anche se il lavoro migliore lo fa Treves con un assolo di armonica che impreziosisce la composizione. Il finale è “strano”, un coro che canta “quasi a cappella” con solo la chitarra in sottofondo, comunque piacevole. La settima è “Regina di Cuori”, la migliore dell’album. Non fatevi ingannare dal titolo, qui i Litfiba non c’entrano niente! Nella canzone troviamo il migliore Scotto dell’album e forse anche il miglior Braido, il tutto per un grande risultato. Dopo la “dolce Regina” arriva “Disamore”, la più hard e blues dell’album. Il risultato è buono e gli assoli di chitarra piacciono e convincono. “Gamines” è l’ultima. E’ una canzone brevissima (1 minuto e 27 secondi) ma intensissima, dedicata a tutti i bambini poveri del mondo; degna chiusura per un disco che mi ha divertito ed emozionato.
La produzione è discreta (ottima se paragonata ai vecchi lavori dei Vanadium!) e tirando le somme il risultato complessivo del disco è buono, anche se, come ho accennato prima, la lingua italiana porta via ogni velleità heavy. Lo Scotto artista, e lo impariamo qui, sa esprimersi ed essere credibile anche in italiano, peccato che la distribuzione fu scandalosa. In estrema sintesi è un classico dell’hardrock italiano e lo consiglio a tutti coloro che amano il genere e che tra un riff e l’altro sanno anche pensare.

Long Live to Pino Scotto.

Tracklist:
I Rock ‘n’ roll
II Dio del blues
III Joni Stone
IV Il grido disperato di mille bands
V Baby lupo (attenti all’uomo)
VI Venditi l’anima (ma che guerra fai)
VII Regina di cuori
VIII Disamore
IX Gamines

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