Recensione: Meta

Di Stefano Burini - 7 Febbraio 2017 - 9:00
Meta
Band: Car Bomb
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2016
Nazione:
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85

Il prefisso “post”, qualora applicato ai vari sottogeneri che popolano l’affollato sottobosco della metallurgia pesante, tende di norma a ingenerare fastidio nell’ascoltatore più ortodosso – per definizione refrattario nei confronti di tutto quanto tenda a far uscire la sua (nostra) amata musica dai solidi binari della tradizione. D’altro canto, senza far riferimento a qualcosa di “di là da venire”, frutto della decostruzione del passato e del presente e ancora difficilmente catalogabile, in quali altri termini sarebbe possibile affrontare la – a dir poco – ardita proposta degli statunitensi Car Bomb e, nello specifico, un album nel contempo devastante, ermetico ed immaginifico come “Meta”?

Il quartetto newyorkese, come sapientemente sintetizzato da uno dei nostri più affezionati utenti del Forum, propone

un mix letale fra la stortaggine math di Meshuggah/The Dillinger Escape Plan e le balene volanti dei Gojira.

Mai descrizione fu più riuscita: i Car Bomb, per tutta la durata di “Meta” stordiscono, annichiliscono e devastano con la furia robotica di quattro Terminator programmati per fare piazza pulita di neuroni e cellule cigliate, senza tuttavia dimenticare di inserire qualche mirabile spiraglio di luce all’interno di un mosaico sonoro sostanzialmente votato a violenza e desolazione post – hardcore.

La tracklist si compone di ben undici brani, la maggior parte dei quali caratterizzata da una durata media intorno ai quattro minuti. Una scelta mirata e decisamente azzeccata nell’ottica di aumentare la fruibilità di un album il cui asso nella manica, sin dai primi istanti di “From The Dust Of This Planet”, risulta essere l’abbinamento tra distorsioni di una crudezza inaudita (ben oltre quanto proposto dai citati Meshuggah, NdR) e ritmiche minimali talmente pesanti da far sembrare il whalecore  degli onnipresenti Gojira roba per educande.

A fronte di un coté strumentale tanto estremo quanto funzionale e anzi perfettamente calibrato (il setting sonoro è da urlo: tutti gli strumenti e pure la voce si ritagliano il giusto spazio con una nitidezza davvero invidiabile) non è in ogni caso possibile non riservare una menzione d’onore alle spettacolari vocals ad opera di Michael Dafferner. Il suo growl è scabro e violento ma – sorpresa delle sorprese – l’ugola di Dafferner è anche in grado di regalare pregevoli ricami in voce pulita (come nella Mastodon-iana “Gratitude”) e melodie dal gusto assolutamente straniante (“Constant Sleep”).

Grazie alla loro capacità di rielaborare stilemi e contenuti provenienti da oltre trent’anni di hard/thrash/math-core made in U.S.A. alla maniera dei migliori artisti d’avanguardia del Novecento (vedasi, a questo proposito, la bella e significativa copertina dal gusto prettamente astrattista, NdR), i Car Bomb sono riusciti a confezionare un’opera di valore inestimabile, indubbiamente non per tutti i palati ma certamente in grado di regalare grandi soddisfazioni a tutti i fanatici del metal più sperimentale.

Note:

L’album, il terzo nella discografia dei Car Bomb dopo il debut “Centralia” (2007) e il successivo “w^w^^w^w” (2012) entrambi distribuiti via Relapse Records, è stato prodotto da Joe Duplantier dei Gojira e dal chitarrista della band Greg Kubacki ed è stato mixato da Josh Wilbur, già visto all’opera dietro alla consolle con artisti del calibro di The Dillinger Escape Plan, Megadeth, Avenged Sevenfold, Hatebreed, Lamb Of God e Gojira.

Joe Duplantier compare inoltre anche nelle vesti di guest vocalist nel brano “The Oppressor” mentre Frank Mullen dei Suffocation compare in “Sets”.

Stefano Burini

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