Recensione: Riitiir

Di Tiziano Marasco - 28 Settembre 2012 - 0:00
Riitiir
Band: Enslaved
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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76

Gli Enslaved sembrano una band assai strana per far parte di quel curioso music business che è la scena estrema scandinava. Nonostante un successo ampiamente conclamato, non hanno problemi di formazione (sempre quella da ormai 8 anni) e continuano a sfornare nuove uscite con una produttività impressionante: con questo nuovo album, intitolato “Riitiir”, siamo a 12 uscite ufficiali e uno split in 18 anni di attività.

Ciò che poi stupisce di questi cinque omoni è l’inesauribile ispirazione, dato che nella discografia degli Enslaved non si trovano due dischi che abbiano un sound comune. Ovvio, la produzione tarda, quella successiva a “Monumension”, si sviluppa su coordinate ben definite e si distingue dalle uscite precedenti per pulizia sonora e cura dei dettagli. Ad ogni modo nessuno potrebbe permettersi di dire che “Below the lights” somigli a “Ruun” o che “Isa” somigli a “Vertebrae”.

Ed eccoci qui, a poco più di due mesi dalla fine del mondo, con davanti un nuovo album che al solito si preannuncia foriero di cambiamenti: “Riitiir”, nome pieno di suggestioni cavalleresche, salvo poi essere ricondotti sul giusto sentiero dalle spiegazioni di Grutle Kjellson, il quale ha più volte rivelato che il titolo della dodicesima fatica è modellato sul termine norreno Rit (rito).

“Riitiir” è un disco foriero di novità si è detto, a cominciare dal cambio di etichetta, che ora è il colosso Nuclear blast. Disco foriero di novità anche a livello musicale, ma soprattutto compositivo, come ognuno noterà ad una semplice occhiata al minutaggio: otto brani, sei dei quali lambiscono o superano abbondantemente gli otto minuti. Questa è una cosa che potrebbe suscitare emozioni contrastanti e non infondate a chi ha bruciato i timpani ascoltando “Eld”.

Impressioni parzialmente confermate dall’opener, “Thoughts like Hammers”, usato anche come brano promozionale: un serpentone da quasi dieci minuti, più vasto del tempo ma non sempre più denso della notte. Il confronto con la opener di “Mardraum” in questo caso è indicativo, poiché anche “Thoughts like Hammers” è un pezzo dalla struttura assai complessa, nel quale si possono notare due parti. La prima è scandita da una strofa quasi doom alla quale si contrappone un esteso chorus etereo e pinkfloydiano, in cui Larsen sale sontuosissimamente in cattedra, ammalia e ci conduce al nono dei mondi in cui è diviso l’universo vichingo. La seconda parte invece risulta molto più libera da schemi e prosegue su vari cambi di ritmo. La tanta carne al fuoco, tuttavia, potrebbe rendere la song sfibrante, dato che si basa sull’accostamento di parti fortemente contrastanti tra loro: alle volte si ha l’impressione che siano tenute assieme da qualche graffetta di cucitrice.

Impressioni del tutto opposte si hanno invece con “Death in the eyes of dawn”, un brano decisamente Ruunico per compattezza e suoni di chitarra, tuttavia estremamente dilatato ed atmosferico. Anche in questo caso i cori in clean, ariosi e drammatici, fanno davvero un figurone, rendendo “Death in the eyes of dawn” uno dei pezzi più accessibili del lotto. Discorso simile per “Veilburner”, caratterizzata però da una struttura prog (si tratta a tutti gli effetti di un’encore). Se l’inizio e la fine sono caratterizzate da una certa violenza, da riff tipicamente old school e dall’aggressività vocale di Grutle Kjellson, la parte centrale risulta scarna e tenebrosa,  dominata da una parte vocale cosmica da applausi, per quanto malata.

A tal proposito non possiamo non elogiare l’ulteriore evoluzione di Hedbrand Larsen nel cantato (sperando sia finalmente corrisposta in sede live) così come di tutta la band in sede compositiva. Mai come in questo disco infatti le parti in voce pulita risultano al contempo varie e suggestive. E devono essersene resi conto gli stessi Enslaved, che continuano a concedere sempre maggior spazio a elementi prog e alle corde vocali di Larsen. E noi che credevamo di aver sentito tutto in “Vertebrae”.

Impressioni confermate anche dai nove minuti di “Root of the Mountain”. Si tratta di un pezzo ancora una volta in continuo divenire, ancora una volta denotato da un estesissimo, maestoso clean chorus. Non si può neppure ignorare la parte centrale, una digressione strumentale che mischia il black alla psichedelia più acida: quella di The Piper at the Gates of Dawn (ovviamente), ma pure ai King Crimson o ai Grateful Dead.

E si arriva alla title track, che, come alle volte accade per gli Enslaved, è il pezzo più breve del disco. E come tale difatti “Riitiir” parte bella tirata, con Icedale e Bjornson sugli scudi, si sviluppa su coordinate classicamente viking, in piena linea con certe canzoni degli ultimi Enslaved (“New Dawn” o “The Beacon” decisamente inacidite), prima di passare ad un altro pezzo interessante, “Materal”. Laddove in apertura avrete l’idea che i nostri stiano coverizzando i Depeche Mode, vi accorgerete che in realtà si tratta di una strofa di paglia, presto interrotta da chitarre taglienti e velocissime. Ancora una volta il gruppo perde il lume della ragione e si avventura in una digressione acidissima e psichedelica assai complessa e difficile da digerire, un po’ come accadeva in “Reogenesis”, o “Ridicle Sworm”, ma a velocità doppia.

Finito questo brano, possiamo finalmente concentrarci nella parte davvero impegnativa del disco. “Storm of Memories” è infatti un brano prevalentemente strumentale, rarefatto e sospeso, tenuto in piedi da un riff di chitarra tanto semplice quanto ipnotico. Poi ancora una volta prosegue l’alternanza tra il passaggio growl e l’ennesimo coro imperiale. Pur tuttavia questo è un pezzo in costante divenire, il cui unico punto fisso è la ripetizione di un ritornello; per il resto, le vostre orecchie saranno sballottate in una vera e propria tempesta sonora (perché i titoli mica possono essere casuali).

Ed infine “Forsaken”, introdotta da una sghemba partitura di piano, oscura e tutt’altro che rassicurante, sulla quale ben presto irrompe il calore bianco della band a costruire quello che, probabilmente, è il passaggio più feroce del disco. Al quale fa poi da contraltare il passo più calmo del disco, poiché la parte centrale di questo pezzo ricorda assai da vicino un autentico classico dell’avantgarde metal norvegese, “Nightmare Heaven” degli Arcturus : tastiere scarne e sinistre a richiamare la vuotezza disperata e lo spaventoso gelo nero dello spazio cosmico. Su di essa prima si inserisce un rapido giro di tastiera, dopodiché pian piano tutta la band, prima di esplodere in un’imponente chiusura che lascia infine spazio all’outro, nuovamente scarno, tutto chitarra e voce pulita, a metà strada tra Mark Lanegan e post rock.

Insomma, dopo tre uscite decisamente semplici e compatte, per quanto innovative, gli Enslaved con “Riitiir” rispolverano il lato loro più visionario e sperimentale, quello di “Mardraum”, “Below the Lights” e “Isa”, dando vita ad un disco che ricorda vagamente una mescolanza di questi album. I risultati al solito sono eccellenti, seppur non privi di qualche ombra. Mancano infatti pezzi di facile assimilazione che possano conquistare l’ascoltatore subito (si pensi a “Return to Yggdrasill o “As Fire Swept Clean the Air”, giusto per restare a quei due dischi), dal momento che, spesso, l’alternanza dei vari registri causa un senso di dozzinalità nel passare dall’uno all’altro.

Dall’altro lato poi l’eccessiva lunghezza dell’album potrebbe risultare opprimente, anche perché ci troviamo davanti ad un’opera che richiede ripetuti ascolti a causa della sua complessità. Ad ogni modo, e chiudiamo il cerchio, non possiamo che rallegrarci per “Riitiir”, una prova che, ancora una volta, conferma i norvegesi  al vertice del metal sperimentale scandinavo. E finché i pensieri continueranno ad essere a martello, le nostre orecchie potranno rallegrarsene.

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Line Up
Grutle Kjellson – basso, voce
Ivar Bjørnson– chitarra
Arve “Ice Dale” Isdal – chitarra
Hedbrand Larsen – tastiera, voce
Cato Bekkevold – batteria

Tracklist
1.    Thoughts like hammers 9.38
2.    Death in the eyes of dawn 8.17
3.    Veilburner  6.46
4.    Roots of the mountain  9.17
5.    Riitiir   5.26
6.    Materal  7.48
7.    Storm of memories 8.58
8.    Forsaken 11.15

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

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