Recensione: Ø

E così, piano piano, gli Shadecrown raggiungono il traguardo del quarto full-length in carriera, “Ø“, cioè “Zero”.
Piano piano poiché la band finlandese è nata nel 2012, centellinando con cura le uscite discografiche fra demo, EP e singoli. Oltre agli album, ovviamente. Il perché di questo rilevante lasso di tempo fra questi ultimi, più o meno di tre anni, non è dato di sapere dalle scarne note biografiche che accompagnano l’ultimogenito, le quali, peraltro, non spiegano il perché di un titolo così particolare.
Comunque sia, biografia ridotta o meno, “Ø” rappresenta la naturale evoluzione di “Solitarian” del 2021. Perché naturale? La risposta a questa domanda è insita nella direzione musicale intrapresa dai Nostri che, da un sostenuto melodic death metal, sta svoltano verso quello che da un po’ viene definito come la sua naturale derivazione nonché evoluzione, e cioè il modern metal.
Non che il disco sia flaccido o privo di forza. Questo no, assolutamente. Il combo Viitasaari è difatti autore di uno stile dal carattere forte, potente, a volte aggressivo che, tuttavia, lascia spazio alla riflessione, all’approfondimento di tematiche rivolte a sentimenti profondi. Fra i quali emerge la leggendaria malinconia tipica di tutti gli act provenienti dalla Terra del Mille Laghi, che prediligono la parte più orecchiabile del death metal.
A tal proposito il tastierista Saku Tammelin, principale compositore della musica e dei testi, propone una dolce melodia che, come un morbido velo, avvolge tutto ciò che è compreso nell’LP. Melodia per nulla concepita per far girare le varie song nei supermercati, per esemplificare e dare l’idea di un’armonia mai sdolcinata, mai di facile ascolto bensì dalle robuste fondazioni. Capace di legarsi alla perfezione, appunto, alle ritmiche imbastiste dai due formidabili chitarristi Joonas Vesamäki e Tomi Tikka.
Il sound, quindi, si sviluppa su una potente trama intessuta dalle sei corde che, assieme a basso e batteria, si può raffigurare come una tela su cui dipingere le meravigliose arie che soffiano su tutte le tracce dell’opera. Arie che rimandano a potenti visioni dei sublimi paesaggi della Finlandia, ove non esiste alcunché di rimandabile al genere umano, triste distruttore della Terra nel suo complesso.
Il viaggio che parte da “The Art of Grieving” e termina con “Repentance” è allora un qualcosa di unico, di mitico, che esplora la struggente nostalgia insita nei soggetti più sensibili del ridetto genere umano. I quali possono godere appieno dell’ascolto di brani dai contorni epici, sì da definire definitivamente unico e inconfondibile lo stile del sestetto nordeuropeo.
Anche se il growling di Jari Hokka è perfettamente allineato alla sequenza di dettami caratteristici del death metal melodico, e quindi non particolarmente originale, come si intuisce da quanto scritto più sopra a fare la differenza fra gli Shadecrown e tanti altri colleghi d’avventura sono le canzoni.
Sì, le canzoni. Che formano un insieme spettacolare di songwriting ubicato ai massimi livelli di qualità tecnico/artistica. Dotate ciascuna di uno specifico carattere che le distingue da tutte le altre, facilmente memorizzabili ma non certo da buttare via dopo pochi passaggi anzi. Più si procede con l’ascolto, più emergono i particolari che le rendono una delizia per le orecchie. Fra tutte, ma solo per citarne qualcuna a mò di cronaca, svettano l’opener-track “The Art of Grieving“, la cui ritmica pestata è aggraziata da una soave voce femminile; l’hit del lavoro, “Fragile Chapters“, che strizza l’occhiolino al progressive metal; “Tear-blind“, il cui incedere maestoso si manifesta con un commovente ritornello che regala numerosi singulti.
“Ø“, malgrado possa apparire come un album facile, si mostra in realtà un’opera d’arte di valore assoluto, che si apprezza solo e soltanto dedicando a esso il tempo necessario per la sua completa assimilazione. Gli Shadecrown, ancora una volta, si possono sedere sullo stesso trono in cui campeggiano Insomnium, Swallow The Sun, Omnium Gatherum, Dead End Finland, Mors Principium Est e tanti altri ancora.
Il massimo, insomma.
Daniele “dani66” D’Adamo